Fr. Siniša: "La Terra Santa, davvero un mondo dentro il mondo " | Custodia Terrae Sanctae

Fr. Siniša: "La Terra Santa, davvero un mondo dentro il mondo "

Fr. Sinisa con i paramenti diaconali
Fr. Sinisa con i paramenti diaconali

Nato nel 1981, in Croazia, Fr. Siniša Srebrenović vive un'infanzia serena in un paese nei pressi di Zagabria. A 14 anni inizia il suo cammino vocazionale presso il seminario minore francescano, grazie alla testimonianza di vita dei frati dell'Ordine che guidavano la sua Parrocchia di origine.
Passo dopo passo, la sua strada lo conduce verso la Terra Santa, in Custodia, dove è Discreto dal 2016 in rappresentanza del gruppo linguistico di lingua tedesca, francese e greco-slava,oltre ad essere primo sacrestano presso la Basilica del Santo Sepolcro.

 

Parliamo della tua scelta vocazionale: cosa ti ha spinto ad entrare in convento?
A me non piace identificare la vocazione con un momento preciso. La vocazione, oltre ad essere una cosa personale, non è niente di speciale.Mi correggo,può non essere niente di speciale:credo che sia come un seme che messo a dimora ha i suoi tempi e i suoi modi per crescere ma che, se non è curato, non porterà mai nessun frutto.La vocazione, così come la conversione, avviene in un punto preciso della nostra vita ma se non hai cura di quel momento e non vivi la conversione è inutile perché noi siamo liberi e la chiamata è libera.
La mia decisione nasce nella mia parrocchia d'origine, che è francescana. Piano piano in me è maturata questa idea di diventare francescano e l'ho curata per capire se fosse un desiderio profondo o solo una passione momentanea.

C'è stato qualcosa di particolare del francescanesimo che ti ha colpito e ti ha spinto ad entrare in convento?
A dire la verità, all'inizio non sapevo neanche chi fosse San Francesco. Conoscevo bene Sant'Antonio, perché la mia parrocchia è intitolata a lui e tutti gli erano molto devoti. In chiesa, alla statua di San Francesco era riservato un posto defilato: era in fondo alla chiesa e una volta all'anno si faceva una preghiera, che ho saputo identificare solo più tardi come il transito, cioè il ricordo della morte di San Francesco il 3 ottobre..
Più che l'aspetto intellettuale - arrivato nel momento dello studio - sono stato affascinato dalla testimonianza di vita che ho ricevuto dai francescani della mia parrocchia, ed è questo che mi ha fatto apprezzare la vita dei frati rispetto ad altre vite.

Finito il cammino di formazione, arrivi in Terra Santa: com'è successo?
Ho richiesto io di venire in Terra Santa ma, ad oggi, non ho ancora capito perché. Sentivo di dover venire quianche se non ci ero mai stato.Sono cosciente che sia stata una follia che né i miei genitori né la mia famiglia francescana hanno capito subito.
Mi sono mosso per un'esigenza, un desiderio, non mi sono mosso perché non fossi a mio agio in Croazia con i frati della mia Provincia francescana. Anche perché, per mia esperienza, i frati sono uguali dovunque nel mondo, con gli stessi limiti e le stesse ricchezze.
Sono arrivato nel 2006 e non conoscevo l'italiano, la lingua comune in Custodia.Per questo motivo,per prima cosa, ho trascorso un mese a Roma presso la Delegazione di Terra Santa: non capivo niente della Messa, niente delle preghiere e non riuscivo a dialogare. Lì mi sono reso conto che gli ambienti internazionali sono davvero difficili e non solo, mi sono convinto che era necessaria un'apertura culturale per poter proseguire.
Dopo quel periodo,ho avuto la mia prima destinazione: la Basilica dell'Annunciazione. A Nazareth ho scoperto cos'è la Terra Santa: un mondo dentro il mondo. A Nazareth ho stabilito un legame molto forte con il luogo e con la missione,rafforzando la decisione di rimanere in Terra Santa, in un ambiente così estraneo. Nazareth è stata una scoperta continua: il luogo, i cristiani locali, i pellegrini. Caselle di un grande ed elaborato mosaico che,messe insieme, hanno composto l'immagine della mia Terra Santa.
In quel periodo non sapevo avrei vissuto lì per undici anni e non sapevo mi sarei legato sentimentalmente a quel luogo, tanto che il distacco e il cambiamento sono stati molto difficili.

Dopo Nazareth, diventi sacrestano al Santo Sepolcro. Parliamo delle tue mansioni: qual è la tua "giornata tipo"?
I sacrestani al Sepolcro sono tre e per noi il ritmo di vita è un po' diverso rispetto ai frati della comunità con cui viviamo. Non esiste una giornata tipo, ci svegliamo - seguendo i turni - alle 3.30 del mattino per essere in Chiesa e iniziare a preparare ciò che serve per l'apertura della Basilica e la preparazione per le varie celebrazioni eucaristiche che si susseguono ogni mezz'ora alla Tomba e al Calvario, dopo il termine della liturgia armena. La giornata è sempre uguale a causa degli orari fissi, dettati dallo Status Quo, ma è sempre diversa perché ogni giorno può accadere di tutto.

Qual è il periodo più impegnativo per voi?
Sicuramente Pasqua e la Quaresima. Basti pensare che noi abbiamo ben due settimane sante: la Cattolica e l’Ortodossa. Un sacrestano deve essere sempre presente, così come stabilisce lo Status Quo, durante tutte le celebrazioni. La difficoltà maggiore è l'impossibilità di potersi organizzare in anticipo per le liturgie. Infatti, lavorando in spazi condivisi, non possiamo- ad esempio - preparare in anticipo gli allestimenti. È necessario, quindi, conoscere bene cosa fare e saper gestire le tempistiche velocemente nei brevi momenti di pausa tra le diverse celebrazioni. Le liturgie al Sepolcro sono ricchissime, belle, ma per noi sacrestani, molto impegnative.

In quello che fate c'è una mansione più "particolare" o "strana"?
Fatico a citarti una mansione in particolare. Quello che mi stupisce a volte è la totale mancanza di logica. Può sembrare assurdo, così come può sembrare strano che ci sia una regola che definisca quali candele devono essere accese o spente, ma è così. Ci sono delle regole interne che, a chi non le vive di persona, possono sembrare strane. Ad esempio, chiedersi perché viene posto un tavolo vicino all'altare di Maria Maddalena a partire dal Mercoledì delle Ceneri fino al giorno di Maria Maddalena in luglio, oppure perché viene posizionata una scala dietro la pietra dell'unzione più o meno nello stesso periodo.
Nonostante tutto, posso dire che qui ho la sensazione di vivere l'ecumenismo vero: condividere ogni giorno lo stesso altare su cui celebriamo l'Eucaristia, senza lamentarsi, non è una cosa banale. Qui nessuno mette in dubbio la veridicità del luogo e c'è da parte di tutti la volontà e l'interesse a celebrare nello stesso luogo in cui ha celebrato un sacerdote di un’altra definizione cristiana.Perché qui il luogo fisico regala una spinta in più alla celebrazione di una vita insieme, con tutte le difficoltà che comporta.

Dopo Nazareth, il Santo Sepolcro. Cosa significa per te questo luogo? 
Potrò rispondere a questa domanda solo quando l’avrò lasciato. Per ora, sono convinto che mi stia insegnando a capire ancora di più dove sono. Osservare chi arriva da tutte le parti del mondo, chi viene per una volta nella vita, chi porta qui la propria fatica ei problemi, chi sogna da anni di arrivare qui: quando incontro tutte queste persone, comprendo davvero dove sono e non smetto di ricordare anche a me stesso che sono davvero qui.
Il Santo Sepolcro, dal mio punto di vista, è un microcosmo in cui si scopre bellezza e difficoltà, è un concentrato di emozioni perché tutto viene riassunto qui. Penso che quello che accade qui dentro sia la nostra povera risposta umana all'assurdità della Risurrezione,che questo luogo testimonia: tutto si concentra qui, per questo chiamarlo il centro del mondo non è sbagliato. Mi sono chiesto tante volte il perché di questo luogo e di alcune dinamiche interne tra le varie comunità, e l'unica motivazione che ho trovato è insita nell'assurdità di questo gesto d'amore.
Qui si trova tanta bellezza: la bellezza di stare insieme, di conoscere gli altri, di vedere Greci Ortodossi, Armeni, Copti, Siriaci, Etiopi, che si spintonano perché vogliono essere più vicini, come davanti a un focolare in pieno inverno.Vivere qui,sotto lo stesso tetto con tante comunità,gestendo lo stesso spazio, è un po' come vivere in un condomini o dove si condivide la cucina ma ognuno ha le sue pentole e tutti devono utilizzare lo stesso fuoco... Non è semplice ma questo è il Sepolcro, e chi ci è stato capirà bene: assurdità di un caos, ma di un caos regolato.
 

Giovanni Malaspina