Omelia di fr. Alessandro Coniglio - Betania, 23 marzo 2023

Omelia di fr. Alessandro Coniglio - Betania, 23 marzo 2023

Peregrinazione a Betania: 2Re 4,18b-21.32-37; Sal 16(17),1.6-7.8-15; Gv 11,1-45

Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!

Questa peregrinazione a Betania sembra interrompere il clima di Quaresima e sembra introdurci già nella luce della Pasqua. Tutto nelle letture di oggi parla di vita e di risurrezione!

La prima lettura ci ha descritto l’episodio della risurrezione del figlio della Sunammita da parte del profeta Eliseo. Questa donna aveva ricevuto il figlio come un dono di Dio, per la sua generosità nell’ospitare Eliseo, ogni qual volta egli passava per il suo villaggio. Il figlio le muore all’improvviso per un colpo di sole e lei va a gettarsi ai piedi del profeta per ottenere il miracolo, certa che colui che le ha fatto avere il figlio in modo straordinario, potrà anche farglielo riavere in modo altrettanto straordinario. La fede di questa donna è davvero eccezionale! Ella sa che Dio è Signore della vita, e lei lo ha sperimentato chiaramente, perché la vita che le è nata nel grembo non veniva da lei, neppure sul piano strettamente naturale. Ora, di fronte alla potenza della parola dell’uomo di Dio, ella sa che il Signore non rifiuterà nulla alla volontà del profeta, perché il profeta è così sintonizzato con il cuore di Dio, che la sua volontà e quella di Dio sono una. E il miracolo avviene…

Il cuore di Gesù è molto più strettamente uno con il cuore di Dio, Padre suo, di quanto non possa esserlo quello del più grande dei profeti. Per questo anche il Vangelo di oggi ci ha parlato di una parola che ridona la vita. Infatti l’amico di Gesù, Lazzaro, l’amato, si ammala e in pochi giorni la sua condizione si aggrava al punto di portarlo alla morte. Gesù, secondo l’usuale ironia giovannea, afferma che “questa malattia non porterà alla morte” (v. 4), sembrando inconsapevole di quanto succederà di lì a poco. Ma la vista di Gesù va già oltre l’evento tragico che sta per colpire la famiglia dei suoi amici più cari, proprio perché egli sa molto bene quanto sta per fare. Allora la morte di Lazzaro diventerà l’occasione perché si manifesti la gloria di Dio, e attraverso questa gloria Gesù venga glorificato come Figlio di Dio (v. 4). La morte dell’amico, infatti, sarà l’occasione per i discepoli di giungere a un livello ancora più profondo di fede in Gesù, come egli stesso dice al v. 15: “io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate”.

Anche qui allora, come nell’episodio della Sunammita, è in gioco la fede: di fronte al limite più invalicabile che l’uomo conosca, quello della morte, non ci sono rimedi naturali che possano far varcare quella soglia in senso contrario. Una volta entrati per quella porta, si è fagocitati per sempre. L’unica possibilità di gettare uno sguardo al di là della morte è data dalla fede, perché la fede coglie l’invisibile, vede oltre la vista dei sensi, mette in comunicazione il nostro mondo con il mondo di Dio, che è per definizione il Regno della vita.

Che il tema del nostro Vangelo sia quello della fede, è ribadito da Gesù stesso nel dialogo con Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Al che Marta risponde: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11, 25-27). In tre versetti la radice della fede ricorre quattro volte! E poco dopo, di fronte alla titubanza di Marta di far aprire la tomba, visto che il cadavere sarà ormai in avanzato stato di decomposizione, Gesù ribatte alla donna: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?” (v. 40). Quella gloria che Gesù aveva posto come il senso più autentico della malattia e della morte di Lazzaro viene annunciata ora esplicitamente a Marta come risultato della sua visione di fede: nel credere in Gesù, quale Figlio di Dio, quale risurrezione e vita, Marta vedrà quello che i soli sensi non permettono di cogliere. Vedrà la gloria di Dio! Come a Cana Gesù ha rivelato la sua gloria e i suoi discepoli hanno creduto in lui, così ora, compiendo il segno della risurrezione di Lazzaro, Gesù manifesta la sua gloria e i suoi discepoli sono chiamati a fare un ulteriore salto nella loro fede in lui.

Con questo miracolo di risurrezione, Gesù dimostra in modo chiaro che lui e il Padre sono Uno e che egli è il canale di vita, scelto dal Padre, perché la vita divina possa effondersi sugli uomini. La fede in Gesù apre ai credenti uno spazio di vita senza fine. Credere in Gesù significa vivere al di là della morte, secondo quanto Gesù ha detto a Marta (Gv 11,25). Questo non è un messaggio nuovo nel Vangelo di Giovanni, perché lo troviamo già, ad esempio, al cap. 5 (v. 21: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole”; vv. 24-25: “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”; v. 28: “…viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna”: in questa citazione vediamo in filigrana quanto accaduto proprio davanti alla tomba di Lazzaro!) e al cap. 6 (v. 40: “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”; v. 54: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”; v. 57: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”).

In Gesù il Padre offre ai credenti la reale partecipazione alla Sua vita divina, che è vita risorta, è vita eterna, perché è il travaso della nostra misera vita mortale nella vita senza fine di Dio stesso. Ma questo si compie solo in Gesù! Non c’è altra via di accesso alla vita del Padre, non c’è altra possibilità di gustare la vita eterna, fuori di Gesù e della fede in lui. La gloria di Dio è tutta e solo in Gesù, Figlio di Dio, colui che viene nel mondo. La parola di Gesù è la sola capace di aprire i sepolcri per farne uscire i morti. Ma la condizione richiesta a noi per godere di questo dono è duplice: lasciarci amare da Gesù e credere in lui! Lazzaro è il prototipo del discepolo amato: il Vangelo di oggi lo ripete ossessivamente, al v. 3, al v. 5, al v. 36; e Lazzaro ha saputo corrispondere a questo amore, come ci dice il v. 11 (“amico” e “amare” hanno la stessa radice in greco). Se crediamo a questo amore di Gesù per noi, allora crediamo che colui che è la risurrezione e la vita è tutto per noi: l’amante è sempre tutto per l’amato, tutto ordinato all’amato, come amava ripetere d. D. Barsotti. Con le due sante sorelle possiamo ribadire: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (v. 21.32). Se nella fede noi lasciamo che Gesù abiti in noi, rimanga in noi, noi non conosceremo mai la morte! Se la vita è con noi, se essa è in noi, se essa è per noi, non c’è più spazio per la morte.

Eppure, il fatto che questo Vangelo ricorra in Quaresima, ci ricorda che tutto questo lo viviamo nelle tenebre della fede, perché Gesù-Vita deve ancora conoscere un destino di morte, perché anche qui, come al Dominus Flevit e al Getsemani, Gesù piange di fronte alla realtà angosciante della morte (v. 35): essa sembra essere più forte dell’amore, sembra vincere contro lo stesso Dio, se pensiamo alla Croce… Ma in Giovanni la Croce è proprio il momento in cui tutti siamo attirati al Figlio, elevato da terra (cfr. Gv 12,32), è proprio il momento culminante in cui la gloria del Figlio sarà finalmente svelata (cfr. Gv 12,23-28), perché è il momento in cui l’amore di Dio per noi raggiunge il suo apice. È proprio restando nell’abbraccio del Crocifisso che viviamo il suo amore infinito e la sua vita e risurrezione ci raggiunge in pienezza. È sulla Croce che tutto si compie e lo Spirito è donato (cfr. Gv 19,30) perché il mondo abbia la vita e l’abbia in abbondanza (cfr. Gv 10,10).