Peregrinazione alla Flagellazione - 22 marzo

Omelia di fr. Alessandro Coniglio - Flagellazione, 22 marzo 2023

Peregrinazione alla Flagellazione: Is 50,4-10; Sal 68,8-10.21-22.31.33-34; 1Pt 4,12-19; Gv 18,38-39; 19,1-5

Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!

Nella scorsa peregrinazione al Getsemani avevamo ascoltato la voce del servo sofferente del Signore, che oggi torna a parlarci per bocca di Isaia. Allora avevamo visto questo servo punito per colpe non sue, oggi rivediamo la stessa strana circostanza: il servo, che ha prestato orecchio alla voce del Signore Dio, vive una dolorosa opposizione da parte di nemici imprecisati. La descrizione delle pene subite dal servo è dettagliata: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,6). Nella sofferenza del servo riconosciamo allora l’odio che troppo spesso nella storia si abbatte sull’indifeso, sul debole, su chi non ha forza o strumenti per opporre resistenza. Eppure questo servo è abitato da una certezza fortissima: il Signore Dio lo assisterà (lo ripete due volte al v. 7 e al v. 9!) e dunque il suo dolore non sarà l’ultima parola di Dio sulla sua situazione. Anzi, il servo è così sicuro dell’intervento del Signore in suo favore, che invita tutti coloro che lo ascoltano e sono timorati di Dio a confidare nel nome del Signore, pur nel buio in cui sono immersi al momento (v. 10).

Questa stessa fiducia era espressa nel salmo responsoriale, negli ultimi due versetti: “Vedano i poveri e si rallegrino, voi che cercate Dio fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri e non disprezza i suoi che sono prigionieri” (Sal 68,33-34). Eppure anche il salmista aveva di che preoccuparsi, perché ha sopportato l’insulto e la vergogna gli ha coperto la faccia, e gli insulti di chi insulta il Signore sono ricaduti su di lui (cfr. vv. 8.10). In entrambi i casi, quello del servo e quello del salmista, sembra che sia proprio la vicinanza del Signore a provocare tanto odio. Quanto più il servo ascolta la voce di Dio, tanto più subisce il rifiuto dei suoi avversari; quanto più il salmista è divorato dallo zelo per la casa del Signore, tanto più è fatto oggetto di congiura e riempito di insulti.

È una sorte paradossale quella dei credenti! Noi ci aspetteremmo che in premio della nostra fedeltà al Signore, in ricompensa per la nostra sincera ricerca di Lui, il Signore ci ripaghi con felicità, gioia, tranquillità, rispetto… E invece è vero proprio il contrario! Avvicinarsi a Dio significa soffrire della sua stessa passione, quella passione che, abbiamo visto nelle due scorse peregrinazioni, è uno dei caratteri del Dio vivo e vero. Dio è talmente coinvolto con la storia del mondo, da subire egli stesso il peso del peccato di questa storia. Ma allora, i suoi discepoli, i suoi servi, i suoi fedeli, possono forse vivere un destino differente dal suo?

Il Vangelo oggi ci ha portati improvvisamente nel venerdì santo, nel bel mezzo del processo a Gesù di Nazareth da parte del procuratore romano Ponzio Pilato. Gesù è il Figlio di Dio, è la Parola del Padre, è Dio fatto carne! Egli non aveva neppure da aprire il suo orecchio per ascoltare la voce di Dio (come il servo di Isaia), perché egli è la Parola stessa che il Padre pronuncia dall’eternità per esprimere Se stesso. Egli non è un semplice discepolo, perché è il Figlio Unigenito di Dio… Eppure, quando Dio è entrato definitivamente nel mondo per salvare il mondo dal suo naufragio, il mondo ha rifiutato in modo drastico questo intervento liberante di Dio. E il Figlio di Dio è stato consegnato a un tribunale umano per essere condannato a morte. Nonostante che il giudice lo riconosca innocente (Gv 18,38; 19,4), lo consegna ai flagelli e alle torture dei soldati… e così realizza in Gesù quanto annunciato da Isaia: flagelli, sputi, schiaffi, sono il salario di chi non ha avuto altra colpa che quella di rivelare Dio, di parlare in Suo nome, di venire a portare all’uomo la medicina capace di guarire le sue malattie, il rimedio a tutti i danni che l’uomo stesso aveva causato.

Tommaso d’Aquino dice che l’uomo è bruciato da un desiderium naturale videndi Deum, dal desiderio naturale di vedere Dio: Dio, cioè, è l’oggetto proprio capace di saziare ogni brama, ogni aspirazione del cuore umano… Eppure, ogni volta che Dio ha cercato di comunicare con l’uomo, pare che la reazione naturale dell’uomo non sia stata quella di correre incontro all’Unico capace di soddisfare i suoi più profondi desideri, ma, al contrario, sia stata il rifiuto, anche violento, dei suoi messaggeri e, alla fine, del suo stesso FiglioE mai, come nel tempo in cui viviamo, questa negazione di Dio, questo rigetto, questa opposizione a Lui, sembra tanto forte e tanto violenta. L’ateismo è divenuto militante, è stato diffuso da ideologie anticristiane anche con l’uso delle armi, e, nei paesi di antica tradizione cristiana, sembra essere oggi il collante di tutte le iniziative culturali e politiche: per cancellare Dio si cancella l’uomo, la sua natura, la sua storia, il progetto del Creatore su di lui. “Ecco l’uomo!”, ha detto profeticamente Pilato, mostrando Gesù alle folle (Gv 19,5): in Gesù abbiamo l’uomo perfetto, l’uomo realizzato secondo il disegno del Padre, l’uomo amato come figlio di Dio. Attraverso l’incarnazione di Dio in Gesù di Nazareth, l’uomo è divenuta la parola più espressiva del mistero di Dio, e proprio per questo, per colpire Dio, si colpisce l’umanità dell’uomo. Come ha potuto scrivere Vittorio Messori nel suo celebre Ipotesi su Gesù, “se Dio si è fatto carne, se Dio è nato dal ventre di una donna ed è stato bambino, se ha giocato tra la polvere delle strade, allora l’uomo non può più essere schiaffeggiato senza che si schiaffeggi Dio stesso”. Il celebre saggista cattolico lo diceva per dimostrare che solo il Cristianesimo ha un’idea tanto elevato della dignità dell’uomo, che l’unico modo per salvare l’uomo dalla violenza dei suoi simili è farlo cristiano. Per questo oggi, per poter sfruttare l’uomo, per poterlo usare, si cerca di ‘emanciparlo’ dal Dio di Gesù Cristo, per potergli usare più nascostamente violenza, ma facendogli credere che la perdita di Dio sia un bene e una liberazione. Si ‘libera’ l’uomo dal suo vero Liberatore, Dio, per schiavizzare l’uomo con l’illusione di una libertà assoluta.

Eppure, ci dicono le letture di questa memoria liturgica che stiamo celebrando, l’odio verso Dio e coloro che ne rivelano il Volto sembra essere un fenomeno connaturato all’uomo nella sua realtà storica. Da sempre i giusti, coloro che vogliono essere fedeli a Dio, soffrono e sono oggetto di violenza gratuita. E l’apostolo Pietro, nella seconda lettura, ci ha detto che proprio questa è la condizione naturale del cristiano: “Carissimi, non meravigliatevi della persecuzione che, come un incendio, è scoppiata in mezzo a voi per mettervi alla prova, come se vi accadesse qualcosa di strano” (1Pt 4,12). Non c’è niente di strano se subiamo persecuzione, sarebbe strano il contrario! Dio ha cercato di restaurare la Sua immagine nell’uomo, mandando il Suo Figlio in mezzo a noi, e noi lo abbiamo rifiutato, come avevamo sempre rifiutato i profeti, i servi, i portavoce di Dio. Se i cristiani allora vogliono essere fedeli al loro Signore, non potranno che subire lo stesso odio e lo stesso rigetto da parte del mondo. Se Dio è tanto appassionato del mondo, nonostante sappia che il mondo lo rifiuterà, anche noi dobbiamo essere appassionati del bene dell’uomo, pur sapendo che l’uomo preferisce più spesso il suicidio, la propria autodistruzione, invece che la sua vera realizzazione in Dio, e risponde con la violenza a chi cerca di portarlo a questo vero bene. Crediamo alla parola di Pietro: “Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi” (1Pt 4,14). La nostra felicità stia nel ricalcare le orme del nostro divino Modello. Non stanchiamoci di mostrare Dio, di annunciarlo con la pratica fattiva del bene, con un amore senza condizioni anche a chi ci odia, così che la partecipazione alle sofferenze di Cristo sia solo preludio per la nostra partecipazione alla sua gloria!