Il muro parla e fa parlare | Custodia Terrae Sanctae

Il muro parla e fa parlare

8 marzo

Il Muro che il governo israeliano continua a costruire all’interno della Cisgiordania è al centro di un dibattito internazionale che coinvolge massmedia, politici, giuristici e intellettuali. Nel luglio 2004 la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja ha bollato di illegalità la costruzione del Muro, seguita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Pur nella ferma condanna degli attentati terroristici contro cittadini israeliani, i Capi delle Chiese di Gerusalemme hanno più volte levato la propria voce contro l’erezione del Muro, così come ha fatto a Ginevra “Giustizia e Pace” della Custodia di Terra Santa alla Commissione ONU dei Diritti Umani mentre la Santa Sede non perde occasione per sollevare ufficialmente obiezioni, laddove il Muro lede gli accodi bilaterali firmati con lo Stato d’Israele e Giovanni Paolo II sollecita di costruire ponti anziché muri. Nonostante ciò le interpretazioni che in Occidente vengono veicolate circa la realtà del Muro non sempre rispecchiano l’oggettività della situazione.

Attesa la permanente difficile realtà della Terra Santa, la Caritas italiana, in accordo con la Caritas Internationalis, ha organizzato per il 30 marzo, al di là di ogni atteggiamento di condanna, un seminario di riflessione per un costruttivo e sereno dialogo per la promozione della giustizia e della pace tra israeliani e palestinesi.

Ed ecco quanto scrivono, a proposito del Muro, le sorelle del Baby Hospital di Betlemme che ogni venerdì guidano la preghiera di intercessione assieme a un gruppo di fedeli cristiani palestinesi ai piedi del Muro.

“Sul grigio del muro, a Betlemme, come altrove, sono apparse delle strane pitture. Il muro sta diventando infatti una specie di lavagna, o tavolozza sulla quale i “visitatori” (soldati permettendo) esprimono i loro sentimenti, attraverso scritte, ma soprattutto immagini. Il grigio del muro dà immediatamente il senso del vuoto, una distesa piatta e uniforme che si prolunga, si prolunga fino a non vederne la fine, e viene voglia di prendere colore e pennello.

La prima immagine è quella di un leone dagli occhi di fuoco che si avventa ferocemente su una colomba; la seconda pittura, rimasta incompiuta, presenta il volto di un palestinese, un volto gigantesco, con occhi brillanti, quasi lucidi di pianto: avvolto nella sua keffiyeh [1], esso emerge dai fichi d’india della sua terra e da una rete che sembra intrappolarlo; la terza significativa pittura rappresenta un enorme serpente; dentro il suo ventre si vedono due bambini raggomitolati e due animali: uno stambecco e una colomba: è un’immagine terribile. Noi avremmo preferito che il muro rimanesse con il suo originale colore grigio che già parlava abbastanza: quelle immagini non fanno che aggiungere violenza a violenza.

Questo è il muro dalla parte Palestinese; dall’altra parte del muro, sulla terra che Israele ha strappato a Betlemme, c’è uno sterminato cantiere: non ci è ancora chiaro cosa risulterà, ma si prevede un grosso centro di smistamento delle merci, in collegamento con il nuovo posto di controllo che verrà spostato verso Betlemme, restringendone i confini. Come il solito, un buon numero di Palestinesi vi lavora, e così, costruendosi la prigione, si guadagnano il pane. Solo i gatti possono ancora introdursi abusivamente in quella zona, senza suscitare la reazione fulminea dei soldati; quando poi il muro sarà completato, anch’essi, come gli altri animali di Palestina, non potranno più passare al di la`. Dalla parte Israeliana, il grigio del muro è stato sostituito da un colore chiaro: questo almeno serve ad attenuare lo shock che istintivamente si prova quando si entra in Betlemme.

Il muro ha fatto molto discutere gli ecologisti, preoccupati per le ancora imprevedibili conseguenze per l’ambiente naturale, per le piante e gli animali. Non solo, perfino gli artisti hanno protestato contro lo scempio del paesaggio, lamentandosi di non essere stati consultati prima di costruire il muro. Ci voleva infatti un po’ d’arte… - dicono - il muro avrebbe potuto essere dipinto, abbellito, avrebbe potuto ripresentare alcuni scenari della meravigliosa natura circostante; almeno sul muro la gente avrebbe ritrovato il paesaggio della cui vista è stata deprivata. Intanto, dal nostro ospedale dobbiamo assistere, impotenti come questa popolazione, allo scempio che si sta facendo di Betlemme, una città che meriterebbe un po’ più di rispetto da parte di Israele. Si sta forse dimenticando che su queste colline il giovane Davide pascolava le pecore di suo padre Iesse, e che prima ancora, nella vallata verso il campo dei pastori, Ruth (la sua bisnonna), andando a spigolare, diede inizio ad una delle più splendide storie della Bibbia?”

M. M.