Meditazione di fr. Rosario Pierri, 6 marzo

Meditazione di fr. Rosario Pierri, 6 marzo

Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 5,17-19

Non c’è nessuna opposizione o sostituzione tra Antico e Nuovo Testamento. Sant’Agostino osservava: “Nell’Antico Testamento è nascosto il Nuovo e nel Nuovo è manifesto l’Antico” (S. Augustini, Quaest. in Hept., 2,73). Ecco la continuità. Gesù osservò la legge? Certo, e nella sua vera essenza, quella voluta e impressa in essa dal Datore di ogni bene (cf. Gc 1,16).

Nostro Signore Gesù ha tutto il diritto di rivendicare che ha dato compimento alla rivelazione: la legge e i profeti non possedevano e non posseggono la parola definitiva, ne sono tuttavia la preparazione. La parola definitiva è Gesù, e i suoi insegnamenti e i suoi atti non sono mai in dissonanza con quanto ci è rivelato da Dio nell’Antico Testamento. Egli è il compimento, nello stesso tempo, continuità e novità.

Tutto ciò è vero, ma in che senso compimento? Compimento va compreso nel suo vero significato. Non è Gesù a dipendere dall’Antico Testamento, per cui Gesù viene, per così dire, solo a compiere le profezie e le promesse, questo è vero ma c’è dell’altro. Certo l’Antico Testamento ci aiuta a capire chi è Gesù, ma facciamo un passo ulteriore. In realtà i pesi sulla bilancia non sono alla pari. Nel rapporto tra tra AT e NT, è quanto storicamente precede che dipende e prende significato da Gesù sul piano della fede. In breve: io credo che Abramo sia padre della fede, perché credo in Cristo. Che Abramo abbia preceduto anche di alcuni millenni l’incarnazione di Nostro Signore Gesù, ha significato e mi coinvolge solo alla luce di Cristo.

Dio è l’assoluto, il creatore, e non vi è nulla o alcuno che possa impedire che la sua parola si realizzi, anche quando all’apparenza sembra verificarsi il contrario. I suoi tempi non sono i nostri tempi, le sue vie non sono le nostre vie, lo sappiamo ma ce ne dimentichiamo o, quando ci capitano avversità, non lo accettiamo.

È il profeta Isaia a dirci una parola chiara a tale proposito: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, (11) così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (Is 55,10-11)”. La parola di Dio non è e non esprime un’opinione, non è una teoria.

Questa verità ci invita a riflettere sulla sua essenza. Non vi è nulla di trascurabile in essa. Qual è la sua origine, chi l’ha pronunciata, chi ce l’ha donata? Ciò che è divino è tale e tale rimane, quale che sia la mia o la tua opinione.

Siamo indotti, per i nostri limiti e spesso per convenienza, a stilare delle gerachie, per cui alcuni precetti ci appaiono trascurabili rispetto ad altri. “Non ho mai ucciso qualcuno, via!”, vero, ma non hai mai mancato di carità verso un fratello, una sorella? Hai mai pensato che un tuo atteggiamento possa indurre un altro a peccare? Le cose si complicano. Si intuisce che potremmo continuare a lungo, non per fare “moralismo”, ma per riflettere su questi “iota”, queste sfumature che possono sembrarci minuzie. Se la pensiamo così, siamo in grave errore. La tendenza a giustificarci non è espressione di saggezza o frutto di vissuto, è un inganno, e nostro Signore ci sta avvertendo che tutto ha importanza agli occhi di Dio, non perché Dio non ci comprenda, ci viene sempre incontro e come, è sempre disposto a perdonarci, ma la facilità con cui soprattutto oggi, si mescola il bene con il male con la formula “e che male c’è?”, senza parlare di chi pontifica “ma vuoi che Dio perda tempo con queste cose?”, è semplicemente un assurdo spacciato per carità.

Riflettiamo da persone mature sulla nostra vita.

A chi ha dato se stesso per noi non si risponde con superficialità.