Getsemani: Il silenzio di chi è solo | Custodia Terrae Sanctae

Getsemani: il silenzio di chi è solo

Omelia di fra Paolo Messina - Peregrinazione al Getsemani (06 marzo 2024)

 

Carissime sorelle e fratelli, 

questa bellissima e “notturna” basilica ci fa rivivere l’esperienza di Gesù in quella notte di scelte: una scelta di obbedienza; la scelta di rinunciare alla propria volontà; di arrendersi e abbandonarsi nelle mani del Padre.

Ci sono momenti in cui siamo tutti chiamati a compiere delle scelte altrettanto personali e fondamentali nella nostra vita. E siamo chiamati a farlo da soli. È sul silenzio che avvolge questi momenti che voglio riflettere questa sera. 

Matteo descrive la solitudine di Gesù attraverso delle piccole note, quasi impercettibili, nel suo racconto. Gesù viene con i discepoli in questo luogo. Plasticamente si intravedono due gruppi: da una parte Gesù e dall’altra i suoi discepoli. Subito dopo, Gesù ne lascia otto poco distanti, e “prende con sé” Pietro, Giacomo e Giovanni (Mt 26,37). Ancora una volta l’espressione di due distinti gruppi. Infine, Gesù che prosegue in questo suo cammino di distacco e si allontana dai tre. 

A questo percorso verso una più profonda solitudine si contrappone una sempre più grande apertura del suo cuore. Al gruppo dei discepoli Gesù rivela la sua intenzione di andare a pregare. Si mostra bisognoso di un tempo per sé. Matteo aveva già riportato le raccomandazioni di Gesù ad ogni buon discepolo su una preghiera fatta in modo personale e in luogo isolato: “Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto” (Mt 6,6). Aveva anche narrato di Gesù che si ritira in preghiera (Mt 14,23). Gesù, cioè, rivela anche in quel momento ai discepoli una sua intima necessità. Ma solo con i tre, con Pietro, Giacomo e Giovanni, apre completamente il suo cuore: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” (Mt 26,38). Ancora una volta in queste sue parole, Gesù mostra la sua solitudine. Loro tre devono pregare con Lui, loro insieme da una parte, Lui da solo un poco più avanti. 

C’è in quelle parole la rivelazione di una solitudine che si distende sulla sua anima come un’ombra mentre scende la notte, e lo avvolge sempre di più. C’è in quel suo chiedere sostegno nella preghiera la consapevolezza di una forza che rischia di mancargli, e che, almeno fino a quel momento, Gesù continua a cercare nel conforto e nella vicinanza altrui.

Tale vicinanza, Gesù la cerca dagli uomini e la cerca da Dio. La prima preghiera di Gesù si apre con l’invocazione “Padre mio” (Mt 26,39) e si conclude con un "tu". In mezzo le parole che richiamano la sofferenza, un calice da bere, una scelta ardua da compiere, un "sì" difficile da pronunciare. Gesù sa che lo deve dire Lui, da solo. Il Padre gli ha indicato la via. I discepoli sono andati con lui. Ma quel "sì" è tutto suo, è con la sua voce che lo deve pronunciare. 

Dopo questa prima preghiera, Gesù cerca ancora la vicinanza dei discepoli, sveglia Pietro, Giacomo e Giovanni e con una parola tra la constatazione di una triste realtà e il rimprovero li esorta a continuare a vegliare con Lui. Invita i discepoli a vivere insieme questo momento di attesa - “voi vegliate” “voi pregate” (Mt 26,41) - mentre lui da solo continua la sua preghiera. Lui prega per compiere la volontà del Padre, loro per non entrare in tentazione. Ciò che per Gesù è la prova suprema della sua missione, per i discepoli, invece, rischia di diventare uno dei momenti più difficili che essi si troveranno ad affrontare nella loro esistenza, quello cioè di vedere fallire tutto ciò per cui hanno speso la loro vita negli ultimi anni. 

Gesù di nuovo si allontana, ma questa volta con una consapevolezza diversa. Se deve bere quel calice, non può contare sulla vicinanza dei suoi discepoli, il loro spirito è pronto ma la loro carne è debole. Ancora una volta la sua preghiera comincia con un’invocazione accorata “Padre mio” e si conclude, di nuovo, con un "tu" (Mt 26,42). Ma questa volta, scompare ogni riferimento ad una propria volontà. La sua preghiera esprime un’obbedienza ancora più grande e sottolinea un passo ulteriore verso l’accettazione del suo destino in conformità alla volontà del Padre.  Gesù inizia a comprendere che il calice non può passare senza che lui lo beva, e accoglie la decisione del Padre, non passivamente: Gesù lo deve bere e sceglie di farlo. La sua è una decisione cosciente, coerente con tutta la sua vita, durante la quale ha sempre insegnato con le sue parole e i suoi gesti proprio l’obbedienza filiale.

Ma c’è un ulteriore passo da compiere. La scelta è la sua, l’ha fatta in prima persona, ma deve accettare anche di vivere le conseguenze di quella scelta in una profonda solitudine. Matteo, infatti, sottolinea che Gesù va di nuovo verso i discepoli, li ritrova ancora una volta addormentati. Ma questa volta non li sveglia. Ritorna di nuovo a pregare “per la terza volta, ripetendo le stesse parole” (Mt 26,44). Le parole sono le stesse, ma la consapevolezza di Gesù è diversa. All’obbedienza si aggiunge la decisione di affrontare il tutto da solo. Matteo ci dice “li lasciò” (Mt 26,44), non nel senso di un abbandono, ma di un distacco. Gesù li lascia andare per la loro strada. Con i loro tempi lo seguiranno. Si allontaneranno impauriti quella sera, ma ritorneranno a Lui. Lo rinnegheranno, ma saranno poi capaci di confessarlo fino alla morte. Gesù non ha fretta, e non affretta le loro scelte, le nostre scelte. Sa che il tempo della decisione, di quelle scelte così difficili da compiere nella nostra vita è totalmente personale. E lui sa essere paziente, come il Padre.

Gesù si allontana di nuovo per pregare per la terza volta in quella notte. La terza preghiera di Gesù, la sua preghiera perfetta, diventa quella in cui si pone da solo in silenzio davanti al Padre. In quel silenzio solitario Gesù ritrova sé stesso dopo l’angoscia iniziale. Così ci insegna a non fuggire da questo silenzio, ma piuttosto a cercarlo. Nei momenti decisivi della nostra vita, a volte possiamo sentire il calore di una presenza amica, altre volte l’assenza di ogni sostegno. Ma in fondo l’esperienza di Gesù nel Getsemani svela una verità, forse difficile da accettare, ma non per questo meno reale. Entrare da soli in quel silenzio è la sola via per ritrovare noi stessi, per riscoprire una forza interiore che a volte pensiamo perduta, per accettare un destino che può essere spaventoso o difficile. Solo affrontando da soli la paura di questo silenzio scopriremo che là, invece, incontreremo il Padre, e impareremo anche noi, con Gesù, a dire "non sia fatta la mia ma la tua volontà".