Vivere la pienezza dell’Amore | Custodia Terrae Sanctae

Vivere la pienezza dell’Amore

Vespri nella commemorazione del transito di suor Maria della Trinità

Carissime sorelle, carissimi fratelli, 
il Signore vi dia pace!

1. Confesso che prima di venire a Gerusalemme, due anni fa, non sapevo niente di suor Maria della Trinità, non sapevo neanche che fosse esistita. Un giorno stavo curiosando tra i libri presenti nell’ufficio del Custode e l’occhio mi è caduto sul libricino dalla copertina bianca e rossa, la nona edizione del Colloquio interiore di suor Maria della Trinità. Da allora questo libricino mi accompagna. Di solito leggo uno o due pensieri al mattino, quando entro in ufficio, prima di cominciare a sbrigare la posta e immergermi nei vari impegni del giorno.

2. Questa sera desidero leggere con voi uno dei pensieri di suor Maria della Trinità e fare qualche sottolineatura. Si tratta del pensiero n. 169, che mi pare un pensiero sintesi e un pensiero centrale e un pensiero che le viene comunicato non solo per lei ma anche per noi: 
Io ispiro i vostri desideri e favorisco la vostra generosità per aumentarli e avere la gioia di esaudirli. 
Sì, io vedo tutto l’invisibile; vi sono vicino come il vostro stesso respiro, e voi mi cercate così lontano, in formule e in attitudini fuori di voi! 
Ah se voi comprendeste! Le meschinità che vi accecano cadrebbero da se stesse in questa ricerca crescente dell’Amore; e l’Amore sono io, io che rispondo appena mi si chiama. Mi do a tutte le anime, ma ho per ciascuna dei segreti da confidare a lei sola; con la missione che riguarda lei sola... 
L’anima che lo comprende, vive la sua pienezza facendo la mia volontà, ricevendo, con la mia fiducia, la mia parola. L’Amore la porta: ella vive. Conosce la gioia e il dono di séVive in me e nulla le manca. 
Scrivi questo, può essere che l’una o l’altra anima lo legga e lo comprenda”.

3. In questo pensiero emerge anzitutto la forte consapevolezza che è il Signore a ispirare i desideri più belli e più profondied è davanti a Lui che possiamo scoprire qual è il desiderio profondo che portiamo in cuore e che può dare senso a tutta la nostra vita. Questa esperienza è tipica dei Santi: pensiamo a sant’Agostino che lo racconta nelle sue Confessioni, pensiamo a san Francesco che nel Testamento parla perfino di un cambio del gusto, pensiamo a santa Chiara che vive la sua vita come un “correre dietro allo Sposo in attesa del compimento delle nozze”. Occorre che anche noi impariamo a riconoscere questo desiderio profondo e ispirato e occorre che impariamo invece a lasciar perdere i desideri superficiali che ci distolgono da questa ricerca. Altrimenti accade che il Signore ci è vicino e intimo e noi lo cerchiamo in cose superficiali, o puramente esteriori.

4. Una seconda sottolineatura: anche nella nostra vita consacrata ci sono meschinità che ci accecano, che ci distolgono dall’amare e dal donare la nostra vita. Proviamo a pensare quali sono le cose per cui ci siamo irritati o arrabbiati nel corso di questi ultimi giorni, o mesi, o nel corso dell’ultimo anno. Se facciamo questo “esame di coscienza” scopriremo certamente che quasi tutte le nostre arrabbiature e irritazioni hanno una radice molto meschina dentro di noi. Mi verrebbe voglia di fare delle esemplificazioni, ma credo che ciascuna persona qui presente sia in grado di riconoscere le meschinità che la accecano e distolgono dall’amare in modo libero e pieno.

5. Una terza sottolineatura è quella della singolarità della nostra vocazione. È vero che tutte le vocazioni rientrano anche in grandi categorie quali matrimonio, vita consacrata, sacerdozio, e altre. E dentro la stessa vita consacrata sentiamo di appartenere a grandi famiglie, gli Ordini e gli Istituti di cui facciamo parte. Eppure, Gesù ricorda a Maria della Trinità che c’è una singolarità di ogni nostra vocazione: “Mi do a tutte le anime, ma ho per ciascuna dei segreti da confidare a lei sola; con la missione che riguarda lei sola...”. Questa singolarità mi pare particolarmente preziosa perché indica che la nostra vocazione è chiamata a una relazione autenticamente personale col Signore. Non si tratta semplicemente di fare nostra una “forma di vita”, cosa pure importante, ma di vivere fino in fondo questa relazione personale di amore, con la sua singolarità e con tutte le sue conseguenze, compresa quella di non star lì a fare paragoni tra la mia vocazione e missione e quella degli altri fratelli o sorelle.

6. L’ultima sottolineatura che desidero fare riguarda il fatto che la nostra gioia più profonda, la nostra autentica realizzazione (per usare una categoria tanto cara al pensiero attuale) consiste nel fare la volontà del Signore. Quando prendiamo sul serio la Parola di Dio, quel Vangelo che è la persona vivente di Gesù e che noi siamo chiamati a seguire, allora ci sentiamo portati dall’amore, conosciamo la gioia e il donarsi, facciamo esperienza di quello che significa vivere in Dio. Non siamo esentati da prove e sofferenze; la vita di suor Maria della Trinità non è certo stata una passeggiata e non lo sarà nemmeno la nostra, ma è la relazione di amore con il Dio Trinità, che è in se stesso relazione di amore, a portarci. Come ci suggeriva già otto secoli fa san Francesco, quando facciamo la volontà del Padre e viviamo il Vangelo, allora sperimentiamo cosa vuol dire diventare la dimora della Trinità e cosa vuol dire dimorare nella relazione di amore che è Dio. E questo, solo questo ci può bastare e appagare. Niente che sia meno di questo ci può dare gioia e felicità vera e duratura. 
Che questo cammino, percorso con passo leggero e in poco tempo da suor Maria della Trinità, possa essere anche il cammino singolare di ognuno di noi, fino alla pienezza.

 

Fr. Francesco Patton, ofm
Custode di Terra Santa