Una vita radicalmente evangelica, Transito di Santa Chiara

Una vita radicalmente evangelica

Transito di santa Chiara

Carissime sorelle e carissimi fratelli, il Signore vi dia Pace!

La vigilia della festa liturgica di santa Chiara ci riporta a ciò che accadde il giorno prima della sua morte. Nel Processo di canonizzazione troviamo una testimonianza molto interessante, quella di suor Filippa, figlia di Messere Leonardo de Gislerio. Proprio al termine della sua deposizione giurata suor Filippa racconta: “E nella fine de la vita sua, chiamate tutte le Sore sue, lo’ raccomandò attentissimamente lo Privilegio de la povertà. E desiderando essa grandemente de avere la regola de l’Ordine bollata, pure che uno dì potesse ponere essa bolla alla bocca sua e poi de l’altro dì morire: e come essa desiderava, così le addivenne, imperò che venne uno frate con le lettere bollate, la quale essa reverentemente pigliando, ben che fusse presso alla morte, essa medesima se puse quella bolla alla bocca per baciarla. E poi lo dì sequente passò de questa vita al Signore la preditta madonna Chiara, veramente chiara senza macula, senza obscurità de peccato, alla clarità de la eterna luce” (Proc III,32: FF 2998).

Il 9 agosto del 1253 papa Innocenzo IV firma il manoscritto che contiene la bolla di approvazione della regola di santa Chiara e la regola stessa, che Chiara, con linguaggio francescano chiama “forma di vita”. Il 10 agosto la regola bollata le viene consegnata e l’11 agosto Chiara, come ricorda suor Filippa: “passò de questa vita al Signore, alla clarità de la eterna luce”.

L’atto finale di governo di Chiara è quello di poter consegnare alle sorelle il cosiddetto “privilegio di povertà”, cioè il privilegio di vivere senza privilegi, e il testo della Forma di vita, cioè il testo della Regola, approvata dalla Chiesa. È la regola che ancora oggi voi professate. Per questo credo che la celebrazione vigiliare dovrebbe fare memoria non solo del pio transito, cioè della morte, di Chiara ma anche della consegna che Chiara ha lasciato alle sue sorelle attraverso il privilegio di povertà e attraverso la Regola.

Vorrei sottolineare semplicemente tre passaggi della Regola che ritengo fondamentali, si tratta del capitolo primo, del sesto e del decimo.

1) Il capitolo primo sintetizza la forma di vita riprendendo ciò che Francesco aveva ricevuto come rivelazione divina e forma di vita per sé e per i suoi frati, è ciò che la stessa giovanissima Chiara aveva abbracciato dopo aver lasciato la casa paterna la domenica delle palme del 1211. È la rivelazione a vivere “secondo la forma del santo vangelo” (Test 14: FF 116).

Il capitolo primo della regola di santa Chiara inizia perciò semplicemente riconoscendo che la forma di vita clariana è legata a san Francesco e adattando al femminile quanto aveva già scritto san Francesco nella regola per i frati: “La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa: Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (RsCh I, 1-2).

Il Vangelo vissuto in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità è l’essenza e il midollo della nostra forma di vita. Non dimentichiamolo mai, soprattutto quando per le ragioni più diverse ci viene in mente di ingabbiare il Vangelo dentro la rigidità di strutture che riflettono la nostra rigidità mentale oppure quando per rincorrere una moda del tempo siamo tentati di annacquare il Vangelo per adattarlo alla mentalità del tempo (o del luogo) in cui ci troviamo a vivere.

2) Il secondo passaggio fondamentale della regola lo troviamo al capitolo VI, che è un inserto autobiografico di Chiara. È un capitolo che va letto e riletto e soprattutto incarnato. Contiene il ricordo delle origini delle Sorelle Povere.

“Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui, liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza.

Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita in questo modo: «Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale».

Ciò che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati fosse sempre adempito.

E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: «Io frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardatevi molto bene dall’allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il consiglio di alcuno».

E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco, così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: a non accettare, cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, e neppure cosa alcuna che possa con ragione essere chiamata proprietà, se non quel tanto di terra richiesto dalla necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; ma quella terra sia coltivata solo a orto per il loro sostentamento” (FF 2787-2791).

Si tratta di seguire la vita e la povertà di nostro Signore Gesù Cristo e della sua Santissima Madre, non di seguire una ideologia o una moda.

3) Il terzo passaggio fondamentale è al capitolo X, dove si trova ciò che bisogna evitare per vivere una vita autenticamente fraterna e ciò che invece va ricercato sopra ogni cosa.

Anche per questo terzo passaggio non c’è ora il tempo di analizzare il testo ma almeno di inquadrarlo e di vedere le aggiunte che Chiara fa a quanto già aveva prescritto Francesco ai frati.

Dopo aver collocato dentro l’orizzonte della fraternità il servizio dell’autorità e l’attuazione dell’obbedienza, Chiara indica ciò che le suore devono evitare: “Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione” (RsCh X,6: FF 2809). Gli ultimi due atteggiamenti indicati da Chiara “discordia e divisione” non si trovano nell’analogo capitolo della Regola dei Frati Minori. Ciò significa che oltre ai vizi elencati da Francesco, l’esperienza di Chiara le suggerisce di aggiungere la discordia e la divisione come due tentazioni tipiche della vita in clausura? Se Chiara ha elencato questa serie di atteggiamenti sbagliati che possono insinuarsi nella vita del monastero, vuol dire che c’erano già al suo tempo, ma vuol dire che su questi atteggiamenti è necessario interrogarsi anche oggi.

Per contrastare questa tentazione, per Chiara è necessario che le sorelle: “Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione” (RsCh X,7: FF 2810). Per conservare l’unità nella fraternità è necessaria la carità reciproca, perché la carità è il vincolo perfetto.

Nel paragrafo successivo Chiara segue quanto già proposto da Francesco e cioè che occorre cercare di avere sopra ogni cosa lo Spirito del Signore e lasciarlo agire in noi, pregare sempre con cuore puro e seguire il Cristo sulla via della croce.

Permettetemi di concludere con un pensiero di sr. Maria della Trinità che ben attualizza l’importanza di conservare l’unità mediante il vincolo dell’amore fraterno: “Quando siete uniti nella prosperità e nella pace, forse che la vostra unione si può dire solida? Quando siete uniti malgrado le lotte, le asprezze dei caratteri difficili, malgrado le antipatie e le sofferenze, allora la vostra unione è come una pianta potente che rende gloria a Dio. Le sue radici si affondano profondamente nella terra oscura, attraverso rocce che si opponevano alla sua crescita. Essa resisterà a tutte le tempeste. Così voi dovete fortificarvi a vicenda, e guardare al cielo” (Colloquio interiore, 583).