Signore, ti amo | Custodia Terrae Sanctae

Signore, ti amo

Omelia, Pro Papa Benedicto XVI

  1. "Signore, ti amo” sono queste le ultime parole del Papa emerito Benedetto XVI, secondo la testimonianza dell’infermiere che lo stava assistendo prima che entrasse in agonia. È la risposta di Pietro alla domanda che Gesù risorto gli aveva posto a Tabga, sulla riva del lago di Galilea.

Benedetto XVI, che tutti noi abbiamo conosciuto come uno dei più grandi teologi dell’ultimo secolo, da semplice cristiano, da teologo e professore, da pastore e custode della fede, da Vescovo di Roma, come pure in questi ultimi anni vissuti da Papa emerito, ritirato in preghiera, ha sempre e solamente cercato di dire a Gesù: “Signore ti amo”, con la vita e le parole.

  1. Beatitudini, Eccellenze, rappresentanti delle varie Chiese, rappresentanti dell’Ebraismo e dell’Islam, autorità civili e membri del corpo diplomatico, fratelli e sorelle, siamo qui per celebrare questa Eucaristia in suffragio e in memoria di Papa Benedetto XVI. Siamo qui a pregare per lui. Al termine del suo Testamento spirituale, lui stesso ha chiesto questo: “chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne” (Test).
  2. La morte, lo sappiamo, fa parte della vita. Ma proprio il luogo in cui noi ci troviamo a celebrare ci ricorda che per ogni credente la morte va vissuta come un transito, un passaggio, un evento pasquale. Nella prospettiva di chi non crede – ha ricordato Piergiorgio Odifreddi, un amico ateo di papa Benedetto – la morte “è l’uscita definitiva dal mondo”. Ma nella prospettiva di chi crede, ha ammesso lo stesso Odifreddi, è “tornare alla casa del Padre” (La Stampa, 2023/01/02).

Siamo qui davanti alla tomba di Gesù. È una tomba vuota ed è il luogo più importante per noi cristiani. È il luogo che ha aperto l’ingresso alla “casa del Padre” all’umanità intera e a ciascuno di noi. Questa è la tomba in cui, il mattino di Pasqua, sono entrati Pietro e Giovanni, e hanno potuto vedere i segni della risurrezione. Questa è la tomba vuota che ci ricorda che il Figlio di Dio incarnato ha condiviso totalmente la nostra esistenza umana per aprirci le porte della vita in Dio. Questo è il luogo dal quale è iniziata la testimonianza di Pietro e degli altri apostoli, che ha portato alla nascita della Chiesa. Questo è il luogo che ci ricorda – con le parole dell’Apostolo Paolo – che anche noi siamo risorti con Cristo e siamo quindi chiamati a vivere in prospettiva pasquale tutta la nostra esistenza. Qui lo stesso Gesù risorto chiede alla Maddalena: “Perché piangi? Chi cerchi?”. Qui non ha senso piangere per la morte. Qui siamo chiamati a cantare l’alleluia della risurrezione, perché grazie a questa tomba vuota ci è data la grazia di poter vivere in Dio, per sempre.

  1. Nel 2009, in occasione della sua storica visita in Terra Santa, durante la Messa celebrata nella Valle di Giosafat, papa Benedetto ha potuto commentare proprio le letture che abbiamo appena ascoltato. Permettetemi di riprendere alcune parole che allora egli pronunciò e che vorrei oggi risuonassero in modo particolare nel cuore di ognuno di noi: “Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, «vide e credette» (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi … siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di «toccare» le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a «vedere e credere»” (Omelia 12/05/2009).
  2. Tutti noi, che siamo qui riuniti in preghiera, in questa Città Santa e unica al mondo, dobbiamo ricordare con profonda riconoscenza la persona di papa Benedetto e ringraziare Dio per averlo donato non solo alla Chiesa cattolica ma a tutta l’umanità.

Noi che viviamo in questa Terra Santa dovremmo andare a rivedere i gesti che lui qui ha compito nella sua visita di 14 anni fa. E dovremmo rileggere e meditare le parole che ha pronunciato durante quello storico pellegrinaggio, parole ancora estremamente attuali.

Non si è trattato di una visita di cortesia ma di un autentico pellegrinaggio nel quale ha voluto mostrare vicinanza alla piccola comunità cristiana locale incoraggiando i cristiani a non emigrare e a rimanere fedeli alle proprie radici, perché qui i cristiani sono “chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa” (ibid.).

In quel pellegrinaggio papa Benedetto ha incontrato in modo cordiale e fraterno, i Patriarchi e i Capi delle Chiese sorelle. Ha incontrato fraternamente le autorità religiose dell’Ebraismo e dell’Islam, come pure le autorità civili di Giordania, Israele e Palestina. Ha visitato anche molte opere sociali per esprimere la vicinanza alle persone più povere e bisognose. Con la mitezza che sempre lo ha contraddistinto ha cercato di seminare pace e invitare al dialogo.

  1. Durante il suo viaggio ha parlato di Gerusalemme con il calore che solo può avere chi ama questa Città Santa, unica per bellezza e unica per sofferenza. Ha parlato di Gerusalemme augurando che possa davvero essere luogo di incontro e di preghiera per tutti i popoli: “Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese” (ibid.).
  2. Guardando a Gerusalemme, papa Benedetto ci ha ricordato la vocazione universale di questa Città, Santa e cara a Ebrei, Cristiani e Musulmani. Proprio per questo ci ha rivolto parole che hanno un senso ancora più forte nell’oggi che viviamo. Sono parole pronunciate per indicare a noi, che qui viviamo, una via da percorrere. Papa Benedetto ci ha ricordato che, proprio in virtù della sua vocazione, Gerusalemme “deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto faticoso e lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati” (ibid.).
  3. Guardando al percorso esistenziale di papa Benedetto XVI e guardando anche alle ultime parole da lui pronunciate: “Signore, ti amo”, comprendiamo che anche nella nostra vita deve esserci il primato dell’amore. E comprendiamo che per essere capaci di amare bisogna che attingiamo costantemente alla relazione con Gesù.

Che il Signore amato e seguito da papa Benedetto, “umile servitore nella Sua vigna”, gli doni la giusta ricompensa e lo accolga a contemplare in eterno il mistero di pace e di amore da lui costantemente desiderato, approfondito e annunciato. Amen.