La preghiera dell’umile commuove il cuore di Dio | Custodia Terrae Sanctae

La preghiera dell’umile commuove il cuore di Dio

Domenica XXX del tempo ordinario C

Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA  e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". Al suo fianco le formichine di Fabio Vettori, interpreti della Parola, di domenica in domenica.

Sir 35,15b-17.20-22a; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14

«Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Lc 18,14

Qual è l’atteggiamento corretto nel porsi davanti a Dio? Quali sentimenti ci dispongono alla preghiera autentica? Quale coscienza di noi stessi ci introduce nella giusta relazione con Dio?

La parabola di questa domenica ci aiuta a rispondere a queste domande perché nasce come replica di Gesù ad «alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc 18,9) e ci permette di proseguire la riflessione della scorsa settimana sul tema della preghiera che esprime la fiducia in Dio. Scopriamo così che il tipo di preghiera che facciamo ci segnala se stiamo crescendo o regredendo non solo nel nostro rapporto fiducioso con Dio ma anche in una autentica, empatica e caritatevole relazione con il prossimo.

Due sono gli atteggiamenti esemplificati nella parabola e sono atteggiamenti contrapposti. Da un lato l’atteggiamento orgoglioso del fariseo che si ritiene giusto, osservante, religioso e commette due errori di fondo: quello di giudicare il prossimo e quello di vantare crediti davanti a Dio. È un orgoglio che trasuda dai gesti e dalle parole«Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo» (Lc 18,11-12).

Di tutt’altro tenore è la preghiera del pubblicano, il suo atteggiamento è di una umiltà disarmante, non giudica nessuno se non se stesso, non pretende niente da Dio ma riconosce la propria situazione di peccato e chiede perdono col mettersi in disparte, con la postura del corpo, con i gesti e le parole: «Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13).

Il commento finale di Gesù è lapidario e costituisce una sentenza di valore universale: «Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).

Impariamo così che nessuno di noi è escluso dalla salvezza, a patto che ci rendiamo conto che la salvezza è un dono, e non la possiamo comprare in alcun modo, nemmeno con le più rigorose pratiche ascetiche, etiche e religiose. Impariamo che la preghiera autentica non ci porta a giudicare il prossimo ma solo noi stessi. La preghiera autentica ci porta a riconoscere le nostre colpe e il nostro bisogno di salvezza anziché i nostri meriti. Impariamo che, se vogliamo che la nostra preghiera attraversi le nubi e commuova il cuore di Dio (cfr. Sir 35,20), dobbiamo pregare con cuore umile, consapevoli della nostra piccolezza, povertà e fragilità.

di fr. Francesco Patton, ofm

Custode di Terra Santa