Due facce della stessa medaglia | Custodia Terrae Sanctae

Due facce della stessa medaglia

XXX Domenica TO A

Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA  e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". 

Es 2,20-26; 1Ts 1,5-10; Mt 22,34-40

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso». Mt 22,37-39

Amore di Dio e amore del prossimo sono due facce della stessa medaglia. L’Antico Testamento contiene pagine su pagine nelle quali viene detto e ribadito con forza che la religiosità autentica non si riduce al culto (preghiera e sacrifici) ma si attua anche esistenzialmente in tutte le forme concrete dell’amore al prossimo. I primi cinque libri della bibbia, che gli ebrei chiamano “Toràh” (che significa la Legge), contengono una vera e propria legislazione sociale, che va a toccare i temi della giustizia, della solidarietà, della previdenza, dei rapporti di lavoro, delle relazioni con i dipendenti, delle attenzioni agli stranieri, delle condizioni di liceità dei prestiti e dei pegni (cfr. la prima lettura). Questa legislazione sociale non è ritenuta un corpo giuridico che sta accanto alla legislazione religiosa (leggi sul culto, sui sacrifici ecc.), ma è semplicemente l’altra faccia dell’unica esperienza religiosa del popolo di Israele, che deve inscindibilmente unire tutte le dimensioni della persona e tutti gli aspetti della vita.

Dio si è preso cura del popolo di Israele che era un popolo di schiavi, indifeso, socialmente debole e oppresso, ed è per questo che il popolo eletto è chiamato a vivere la propria religiosità sia attraverso il culto, nel quale fa memoria riconoscente dell’azione misericordiosa e liberatrice di Dio, sia attraverso la giustizia sociale, che testimonia che coloro che fanno parte del popolo di Dio vogliono comportarsi verso il loro prossimo come Dio si è comportato verso di loro. I profeti si scaglieranno con violenza proprio contro coloro che dissociano gli atti religiosi dalla giustizia sociale. I profeti hanno sempre ritenuto offesa a Dio, anziché vero culto, una religiosità che si limitasse ad offrire sacrifici trascurando il senso della giustizia e della solidarietà sociale. Isaia arriva a chiamare questo atteggiamento “peccato di Sodoma” (cfr Is 1,10-20). Anche i libri sapienziali sono una lunga meditazione su questi temi, così come i Salmi ne sono frequentemente l’espressione sotto forma di preghiera (cfr Sal 112), che talvolta si fa esame di coscienza (cfr Sal 50), talvolta persino invettiva e maledizione (cfr Sal 58).

Gesù, rispondendo alla domanda posta da un dottore della Legge, riassume questo principio contenuto nell’Antico Testamento unendo in un’unica espressione due precetti generali tratti rispettivamente dal Deuteronomio (Dt 6,5) e dal Levitico (Lv 19,18). Amare Dio ed amare il prossimo sono due facce della stessa medaglia: l’autentica religiosità è quella che continuamente passa dal culto alla vita, è quella che nel momento della celebrazione fa memoria dell’amore di Dio, lo loda e lo ringrazia, ma sa poi prolungare il senso della celebrazione attraverso l’amore del prossimo, che ha da raggiungere tutte le situazioni e gli ambienti di vita, così come le singole persone. I discepoli di Gesù, in particolare Giacomo, Giovanni e Paolo di Tarso arriveranno a dire che solo nell’amore del prossimo abbiamo la dimostrazione che il nostro amore per Dio è autentico e la nostra fede reale. Nel Cenacolo, il Giovedì Santo, Gesù ci porterà addirittura oltre questa prospettiva, invitandoci ad amarci reciprocamente come lui ci ha amato, cioè fino al dono di noi stessi. È quello il vertice del nostro culto e del nostro impegno morale, ed è possibile solo se lo stesso Gesù è vivo e operante in noi per mezzo del suo Spirito.

di fr. Francesco Patton, ofm

Custode di Terra Santa