Custodire, dimorare, celebrare | Custodia Terrae Sanctae

Custodire, dimorare, celebrare

Dedicazione Basilica S. Sepolcro

Letture: Is 53,2b-9; Sal 15; At 13,16°.26-31; Lc 24,1-12

1. Carissimi fratelli,

Il Signore vi dia Pace!

Siamo all’ultimo giorno del nostro Capitolo custodiale e ci troviamo a celebrare l’Eucaristia qui al Santo Sepolcro, nel luogo che più di ogni altro luogo ci è stato chiesto di custodire. È soprattutto in questo luogo che fin dal 1333 ci troviamo a “dimorare e a celebrare Messe cantate e divini uffici”.
Custodire, dimorare, celebrare: non sono verbi qualsiasi, ma sono verbi che descrivono la nostra vocazione e la nostra missione di “frati della corda”. 

2. Di questo luogo noi siamo custodi, in compagnia ecumenica con la Chiesa greco ortodossa e quella Armeno Apostolica. Cosa vuol dire custodire? In cosa consiste il nostro essere custodi di questa tomba vuota? Credo che la risposta migliore la troviamo nel Vangelo appena ascoltato, dove alle donne appaiono due angeli sotto l’aspetto di uomini in vesti sfolgoranti (Lc 24,4). Sono loro i veri custodi del Sepolcro vuoto. E il loro compito di custodi è tutto racchiuso nella parola che dicono alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno” Lc 24,5-7. Custodire questo luogo vuol dire ricordare a chi viene qui che la tomba è vuota perché Gesù Cristo è risorto. Custodire questo luogo significa annunziare il mistero pasquale nella sua interezza e integralità. Custodire questo luogo significa spostare l’attenzione dalla morte alla vita: il luogo della morte, quello che noi latini chiamiamo il Santo Sepolcro è in realtà il luogo della vita, l’Anastasis, cioè il luogo della risurrezione, come la chiamano i nostri fratelli Orientali. Custodire questo luogo ci fa diventare angeli, cioè messaggeri di Dio e del mistero pasquale.

3. Qui noi siamo chiamati a dimorare. Poter dimorare in questo luogo significa qualcosa di molto importante. Da un lato vuol dire evitare che questo luogo santo diventi un museo, cioè un luogo che racconta un passato morto e sepolto, che sopravvive solo attraverso oggetti che non appartengono più alla vita delle persone. Dall’altro lato dimorare in questo posto significa dimorare sulla porta della Gerusalemme celeste, del Paradiso, della vita in Dio. Qui, nella carne di Gesù che non ha visto la corruzione – come abbiamo cantato nel Salmo responsoriale –, è avvenuto il passaggio della nostra umanità dall’essere-per-la morte all’essere-per-la vita-in-Dio. Qui sappiamo che con la morte non finisce affatto tutto, ma c’è ormai una eternità da vivere con Dio, con tutta la nostra umanità, anzi con una umanità che è ormai divinizzata. Qui la nostra speranza diventa – per dirla con san Francesco – speranza certa di partecipare alla vita di Dio e non semplice desiderio di prolungare la vita terrena. Qui il verbo dimorare acquista il suo senso più profondo, che è quello di vivere in Dio e permettere a Dio di vivere in noi. Qui possiamo lasciarci asciugare le lacrime da Dio e asciugare le lacrime per conto di Dio a tanti fratelli e sorelle che arrivano col cuore appesantito e gli occhi gonfi perché toccati da vicino dall’esperienza della morte.

4. Qui noi siamo chiamati a celebrare messe cantate e divini uffici. Questo è il luogo in cui la nostra lode a Dio non deve mai cessare. Qui l’alleluia, che è il canto di gioia e di lode per eccellenza, non dovrebbe mai spegnersi. Più che bruciare incenso, qui dovremmo ininterrottamente cantare le lodi di Dio, finché abbiamo voce, finché abbiamo fiato in gola. Perché qui è cominciato il mondo nuovo, la nuova creazione. Come ci ha ricordato papa Francesco nella Laudato Sii: “Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale… Tutte [le creature] avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto” (LS 83).

5. Ringraziamo Dio Padre, Figlio e Spirito Santo per questa meravigliosa vocazione e per questa straordinaria missione che ci è stata donata: di custodire questo luogo, di dimorare in questo luogo, di celebrare in questo luogo. È la vocazione e la missione di far conoscere all’umanità intera la chiamata ad entrare nella pienezza di vita che ci ha dischiuso Gesù nell’istante della sua risurrezione.