Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine | Custodia Terrae Sanctae

Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine

Giovedì Santo, Messa in Coena Domini

Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

 

Carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace!

  1. Siamo riuniti insieme per celebrare la Cena del Signore in questa chiesa di san Salvatore, che ha ereditato i titoli del Cenacolo dopo che siamo stati cacciati da quel luogo santo molti secoli fa. Le letture sono particolarmente significative per il momento che ci troviamo a vivere.

Il brano dell’Esodo ricorda la prima Pasqua e ce la presenta come evento di liberazione dalla schiavitù e dalla morte.

L’apostolo Paolo richiama la dimensione del dono personale che Gesù fa di sé nell’Eucaristia.

E l’evangelista Giovanni riassume i gesti e le parole di Gesù con la frase “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”.

  1. In questa Santa Cena del Signore chiediamo che la Pasqua che celebriamo sia ancora una volta una Pasqua di liberazione da tutto ciò che affligge l’umanità del nostro tempo. Liberazione dalla pandemia, liberazione dall’angoscia e dalla paura che attanaglia molti, liberazione anche da questa forma di imprigionamento che ci impedisce perfino di andare nei vari luoghi santi a pregare e impedisce alla gente in tutto il mondo di vivere relazioni normali.
  1. In questa Santa Cena accogliamo e facciamo memoria del dono che abbiamo ricevuto: il corpo e il sangue del Signore, cioè il dono della sua persona e il dono della sua vita, che sono per noi – per usare una bella espressione di s. Ignazio d’Antiochia – “farmaco di immortalità”. Il dono del corpo e sangue del Signore ci porta a fare esperienza di salvezza, che è molto più di una guarigione fisica temporanea (come quella sperimentata dai malati che si rivolgevano a Gesù) o di un temporaneo superamento della morte (come accadde a Lazzaro di Betania). Salvezza è entrare con la nostra umanità dentro la vita stessa di Dio e, avendola ricevuta in dono, prenderne parte.
  1. Tutto ciò è dono di Gesù, che “sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. E come Gesù nel Cenacolo ha manifestato questo compimento dell’amore verso i Dodici riuniti a cena con Lui, così continua a manifestare anche verso ognuno di noi e verso l’umanità intera questo compimento dell’amore.

I gesti e le parole sono sempre gli stessi: dono di sé personale e reale nell’Eucaristia, servizio umile esemplificato nella lavanda dei piedi, comandamento di amarci come lui ci ha amati.

  1. È su quanto Gesù ha detto e fatto nel Cenacolo durante l’ultima cena che si modella la nostra vita fraterna e la vita della Chiesa. È su quanto Gesù ha detto e fatto nel Cenacolo durante l’ultima cena che si modellano anche i ministeri che siamo chiamati a vivere, non solo diaconato e sacerdozio ma anche i servizi umili e quotidiani dentro le famiglie, dentro le nostre fraternità, nella Chiesa e nella società. È su quanto Gesù ha detto e fatto nel Cenacolo durante l’ultima cena che si modellano anche le relazioni tra di noi portandoci a superare il bisogno di essere riconosciuti, la tentazione di servirci degli altri per affermare noi stessi, tutte le forme di narcisismo ed egocentrismo.
  1. Accogliamo perciò con fede il dono e prendiamo sul serio il comandamento nuovo che Gesù ci ha consegnato nel Cenacolo e potremo vedere che le cose cominciano a cambiare, che nasce un mondo nuovo, nasce quella civiltà dell’amore che stava tanto a cuore a papa Paolo VI.

Ancor di più, in un tempo come quello che stiamo vivendo, nel quale i segni di morte sembrano oscurare l’orizzonte e angosciare il cuore dei nostri fratelli, faremo esperienza di essere già partecipi della vita divina, come la liturgia di oggi ci fa pregare nel post communio: “Padre onnipotente, che nella vita terrena ci nutri alla Cena del tuo Figlio, accoglici come tuoi commensali al banchetto glorioso del cielo”.

  1. In questo tempo di pandemia, durante questa celebrazione preghiamo con fiducia il Signore Gesù per gli ammalati, i defunti e le loro famiglie, per medici, infermieri e personale sanitario, per le tante persone che garantiscono i servizi essenziali alla società, e anche per le autorità civili e religiose che si trovano a dover fare scelte difficili e impegnative. Chiediamo la grazia, per ognuno di loro e per ognuno di noi, di saper esprimere l’amore più grande, il compimento dell’amore che arriva fino al dono di sé, svolgendo nella quotidianità e nell’umiltà il servizio al quale siamo stati chiamati, in unione con Gesù.

Così sia.