Con il termine Getsemani si indicano tre luoghi, custoditi dai francescani, che rimandano alla notte in cui Gesù fu tradito: l’orto degli Ulivi, la Grotta del Getsemani e la Basilica dell’Agonia (anche detta “chiesa delle Nazioni”). Nell’orto degli ulivi Gesù pregò intensamente prima della passione, mentre la Grotta del Getsemani è identificata come il luogo in cui fu arrestato. A commemorazione degli episodi avvenuti nel giardino del Getsemani, ai piedi del monte degli Ulivi, sorge oggi la Basilica dell’Agonia.
Il «Monte degli Ulivi» (808 m.) che si eleva a oriente di Gerusalemme, separa la Città Santa dal deserto di Giuda, che da qui inizia la sua discesa verso il Mar Morto.
La valle del torrente Cedron, che cinge Gerusalemme ad oriente, separa il Monte dalla città e dal vicino Monte Sion, posto più a meridione, da dove Gesù si mise in cammino, dopo l’ultima cena, attraversando la Valle per raggiungere il Getsemani.
Estendendo lo sguardo verso nord, oltre il Monte degli Ulivi, s’incontra il Monte Scopus (820 m.), oggi sede dell’Università Ebraica. La sommità del Monte degli Ulivi regala da sempre il panorama più suggestivo sulla Città Santa, da dove l’occhio può contemplarla dall’alto nella sua interezza.
Gli alberi d’ulivo che crescono da millenni sulle pendici del Monte gli conferiscono il nome tutt’oggi in uso. La tradizione ebraica lo conosce anche col nome di “Monte dell’Unzione”, perché con l’olio ottenuto dai suoi ulivi venivano unti i re e i sommi sacerdoti. A partire dal XII secolo gli arabi lo chiamano “Djebel et Tur”, vocabolo di origine aramaica che significa “monte per eccellenza” o “monte Santo”; oggi lo chiamano semplicemente “et-Tur”.
Il Monte è formato dall’insieme di tre alture, da cui scendono le ripide vie che portano a valle: da nord a sud si incontra “Karmas-Sayyad” (vigna del cacciatore) con 818 m. di quota; al centro “Djebel et Tur” (monte santo) di 808 m.; a sud-ovest, al di là della strada che da Gerusalemme portava a Gerico, si trova “Djebel Baten al-Hawa” (ventre del vento), detto anche monte dello Scandalo, con 713 m. di altitudine.
L’altura ha svolto un ruolo di primo piano nella storia ebraica. Nella Bibbia si legge che il re Davide uscì dalla città, scalzo e piangente, salendo il Monte degli Ulivi, per sfuggire al figlio Assalonne, che congiurava contro di lui (2 Sam 15,30); il re Giosia distrusse gli “alti luoghi” costruiti sul Monte dal re Salomone per adorare le divinità delle sue mogli straniere (1Re 11,7; 2Re 23,13).
Dopo la prima distruzione del Tempio di Gerusalemme, gli ebrei iniziarono a recarvisi in pellegrinaggio, poiché, secondo la tradizione, la Gloria del Dio d’Israele uscì dalla città e si pose sul monte che sta a oriente (cf. Ezechiele 11,23).
Nel periodo del Secondo Tempio, i falò accesi sulla sommità del Monte, annunciavano agli ebrei della diaspora la luna nuova del capodanno religioso: una staffetta di luci accese sulle alture propagavano l’annuncio fino a Babilonia (Mishna, Rosh Ha-Shana 2,4). Anche la giovenca dal pelo rosso veniva bruciata sul Monte degli Ulivi: le sue ceneri, mescolate con l’acqua della fonte di Gihon, servivano per purificare chiunque fosse divenuto impuro dal contatto con i morti (Mishna, Para 3,6-7).
A partire dalla conquista davidica della città (X sec. a.C. ca.), furono diversi gli israeliti che scelsero di farsi seppellire lungo le pareti del Monte. Secondo le dichiarazioni dei profeti, il Monte sarà il luogo prescelto da Dio per il giorno del Giudizio e la risurrezione degli uomini retti (Gioele 3,4-5), quando tutte le nazioni saranno fatte scendere nella Valle di Giòsafat (Valle del Cedron) (Gioele 4,2) e il Signore poserà i suoi piedi spaccando il Monte in due (Zaccaria 14,4). Ecco il perché della decisa vocazione funeraria del Monte. L’esteso cimitero ebraico, che oggi copre buona parte delle sue pendici, dal XV secolo riprese ad accogliere le sepolture degli ebrei.
Il Monte degli Ulivi era il passaggio obbligatorio per chi come Gesù, ospite di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, muoveva dal villaggio di Betania verso Gerusalemme: il Monte distava “il cammino di un sabato” dalla città, ovvero il numero di passi consentiti dalla legge giudaica nel giorno di sabato (At 1,12).
Nelle vicinanze di Betfage e Betania, a dorso di un asino, Gesù iniziò il suo ingresso messianico nella Città Santa, accolto dalle folle in festa (Mc 11,1-11 e parr.).
L’evangelista Luca, in particolar modo, pone l’accento sull’abituale frequentazione di Gesù del Monte degli Ulivi, dove si ritirava per trascorrere la notte e per insegnare ai suoi discepoli. (Lc 22,39)
L’assidua presenza di Gesù sul Monte, rende l’altura uno dei luoghi più cari alla cristianità. A memoria del suo passaggio, fin dai primi secoli dell’era cristiana, sorsero sulla sommità e lungo le pendici del Monte diversi luoghi di culto, andati più volte distrutti, su alcuni dei quali sono state ricostruite delle chiese nel corso del Novecento.
Le principali memorie cristiane sul Monte degli Ulivi si riferiscono ai seguenti avvenimenti della vita di Gesù:
Ai piedi del Monte, infine, si trovano altre due importanti memorie gerosolimitane, strettamente connesse alla Chiesa nascente: l’antica Tomba di Maria, accreditata dalla versione siriaca del “Transitus B.M. Virginis” del II secolo d.C., e la Chiesa di S. Stefano, costruita in tempi recenti, a ricordo del martirio del primo vescovo di Gerusalemme, lapidato e sepolto, secondo un’antica tradizione, accanto ad una roccia in questo luogo.
La Grotta del Getsemani è posta alla base del Monte degli Ulivi e affianca la Tomba di Maria. Al suo interno si conservano non solo le più antiche tracce di venerazione dei pellegrini, legate alla memoria della passione di Gesù, ma anche gli indizi del primitivo uso agricolo della grotta usata, forse, come sede di un pressoio per l’olio. I pellegrini che la visitarono tra il IV e il VI sec. d.C. collegavano la Grotta al luogo del tradimento di Giuda e all’arresto di Gesù. Dopo la distruzione della basilica crociata del Getsemani, la Grotta divenne il luogo in cui si ricordarono le tre preghiere di Gesù mentre, presso le “Rocce degli Apostoli”, sulle rovine della basilica crociata, si fissò la tradizione dell’arresto. Oggi, con il ripristino dei luoghi sacri, è tornata ad essere il luogo in cui si fa memoria del tradimento di Giuda e dell’arresto di Gesù.
L’orto degli Ulivi, chiamato anche giardino dall’evangelista Giovanni, conserva secondo la tradizione le secolari piante di Ulivi che assistettero all’agonia di Gesù. Questo appezzamento, in possesso dei francescani fin dal 1681, racchiude infatti otto piante di ulivi tra i più antichi al mondo a cui ne sono stati aggiunti altri nel secolo scorso. Le piante, oggetto di recenti indagini che ne hanno attestato una longevità di oltre otto secoli, erano lì quando la chiesa crociata fu costruita e sono tutti figli di un’unica pianta madre, ancora più antica, forse testimone della preghiera di Gesù nel giardino.
La Basilica dell’Agonia, detta anche Basilica delle Nazioni, ma meglio conosciuta con il nome di Getsemani, è il santuario che custodisce la nuda pietra su cui si fa memoria dell’agonia di Gesù. La struttura moderna, consacrata nel 1924, è l’opera magistrale dell’architetto Antonio Barluzzi e ricalca il perimetro della più antica chiesa bizantina, che fu ritrovata durante i lavori per la costruzione del nuovo santuario. Infatti, la basilica attuale sorge sul luogo delle due chiese più antiche andate distrutte, quella voluta da Teodosio in età bizantina e quella costruita dai crociati e dedicata a San Salvatore.
I luoghi legati all’agonia e alla cattura di Gesù sono ricordati fin dall’antichità.
Eusebio, nell’Onomasticon dei Luoghi Biblici, cita il Getsemani, scrivendo che si trova ai piedi del Monte degli Ulivi, «dove ora i fedeli si affrettano a fare preghiere».
Al termine del III secolo, perciò, il luogo è già frequentato dai cristiani, dove vi esprimono particolari devozioni ricordate anche dal Pellegrino anonimo di Bordeaux nel 333 e da San Cirillo nel 350.
E’ la pellegrina Egeria, alla fine del IV secolo a parlare per prima della nuova chiesa costruita alle pendici del Monte degli Ulivi, sul luogo dove Gesù pregò prima della passione. Si tratta della chiesa «elegante», descritta dalla donna nel suo diario, assieme alle liturgie che si svolgevano lungo il Monte, a partire dal pomeriggio del Giovedì Santo: dopo la notte passata in preghiera, all’alba del Venerdì, la folla di fedeli scendeva verso il Getsemani, dove, alla luce delle fiaccole, veniva letto il passo evangelico dell’arresto di Gesù.
Le testimonianze di fine IV secolo permettono di far risalire la costruzione dell’edificio sacro al regno di Teodosio I (379-395 d.C.). Gli annali di Eutichio, patriarca di Gerusalemme, scritti nel X sec., confermano la costruzione della chiesa per opera di Teodosio, e informano sulla sua distruzione, quando il persiano Cosroe II, nel 614, entrato a Gerusalemme, fece abbattere buona parte delle sue chiese e conventi. Gli scavi, che riportarono alla luce i resti della chiesa bizantina, mostrarono come l’edificio fu coinvolto in un importante incendio, forse appiccato nel 614, che probabilmente ne causò la distruzione.
E’ incerta la situazione delle rovine della chiesa fino all’età crociata. Il culto sul luogo continuò, come testimonia il Lezionario Georgiano del VII-VIII secolo. Nelle Cronache di Teofane Confessore (758-818 ca.) si ricorda che il Califfo Abd al-Malik (685-705) voleva prendere le colonne della chiesa del Getsemani, per impiegarle nella realizzazione della moschea della Mecca che in quegli anni era in costruzione, ma l’intervento di un nobile cristiano lo distolse dall’intento.
Brevi informazioni sono riportate da Cirillo di Scitopoli nella Vita di S. Saba, dove parla della «santa Getsemani» e dell’orafo Romolo, che ne era arcidiacono nel 532. Di due secoli successiva è la testimonianza di S. Willibaldo, che nel suo diario di viaggio registra ancora l’esistenza di una chiesa. Se esisteva una chiesa sul luogo, però, è probabile che dovesse trovarsi in rovina.
Le notizie riprendono all’inizio del XII secolo, in età crociata: Sevulfo (1102), Daniele l’abate ucraino (1106) e anche l’anonimo delle “Gesta Francorum” (1100 ca.), parlano di un semplice oratorio al Getsemani, intitolato a San Salvatore.
La ricostruzione crociata della chiesa ebbe inizio nella seconda metà del XII secolo. Come prima cosa i crociati costruirono, nella valle, l’abbazia di Santa Maria in Valle Josaphat, sopra la Tomba della Vergine Maria. La ricca abbazia, affidata da Goffredo di Buglione ai monaci di San Benedetto, era dotata di convento e ospedale.
Anche la grotta rupestre, posta a fianco della Tomba di Maria e descritta dall’abate Daniele, nel 1106, come la grotta in cui Gesù fu consegnato da Giuda per 30 denari, fu trasformata in cappella dai crociati e affrescata con un cielo stellato e scene evangeliche.
Sul luogo dell’oratorio di San Salvatore, nel 1165, Giovanni di Würzburg racconta di aver trovato una nuova chiesa, intitolata al Salvatore, con le tre rocce distinte che ricordano la triplice preghiera di Gesù nell’orto. Ancora nel 1172, il pellegrino Teodorico racconta che gli architetti crociati erano impegnati nella costruzione della chiesa del Salvatore. La chiesa fu sede spirituale della Confraternita della Carità, ordine nato per dare assistenza ai pellegrini e per raccogliere denaro per l’Ospedale di Santa Maria di Valle Josaphat.
La chiesa dedicata al Salvatore, entro breve, andò parzialmente abbattuta dalle armate di Saladino, che distrussero anche l’abbazia sulla Tomba della Vergine, nel 1187, come racconta Rodolfo, abate cistercense inglese: fu risparmiata solo la chiesa inferiore di Santa Maria in Valle Josaphat, grazie alla devozione islamica alla madre del profeta Gesù.
Mediante un restauro, che si conosce grazie agli scavi archeologici, l’edificio consacrato al Salvatore continuò ad esistere, seppur privato della sua ricchezza. Per tutta la durata del Regno Latino di Gerusalemme e oltre, la chiesa rimase meta di pellegrinaggio, fino all’ultima testimonianza, del 1323, di un fedele proveniente dalla Catalogna. Da questo momento sarà la nuda roccia, che oggi è visibile dietro la Basilica, ad essere venerata, con il nome di “Roccia degli Apostoli”, a ricordo del luogo dove i discepoli si addormentarono durante l’agonia di Gesù.
Nell’autunno del 1891, grazie a circostanze del tutto casuali, furono scoperte le mura di un’abside e qualche frammento di mosaico in tessere grossolane, presso il terreno vicino al giardino degli Ulivi.
Gli scavi sistematici poterono iniziare nel mese di marzo del 1909 e furono seguiti sul campo da fra Luc Thonessen. I risultati dello scavo convinsero Padre Orfali, l’antesignano dell’archeologia francescana in Terra Santa, che ci si trovasse di fronte ai resti della chiesa del XII secolo, costruita sul tradizionale luogo dell’«Agonia» e chiamata nelle fonti medievali la chiesa del «Salvatore» o della «Preghiera del Salvatore».
In seguito, l’architetto Antonio Barluzzi, incaricato dei lavori per la costruzione della moderna chiesa del Getsemani, scavando le profonde fondamenta della nuova costruzione, fece una sensazionale scoperta: a circa due metri più in basso del livello della chiesa medievale si conservavano i resti di un edificio più antico.
Si trattava della chiesa del Getsemani, descritta da Egeria e da lei definita «elegante», costruita in epoca bizantina. Grazie a quel rinvenimento, la Custodia di Terra Santa, su suggerimento dello stesso Barluzzi, progettò la nuova Basilica sulla base della più antica Chiesa del Getsemani.
L’attuale proprietà francescana del Getsemani fa parte degli acquisti fatti dalla Custodia dal XVII secolo in poi.
Il podere del Getsemani, prima degli scavi archeologici e della costruzione della Basilica, era caratterizzato da una porzione di terreno dove crescevano gli antichi Ulivi, mentre il restante appezzamento era brullo e coperto di ruderi della chiesa crociata andata distrutta. Una colonna, posta sui resti dell’abside crociata, era molto venerata dai pellegrini: i Latini la chiamavano del «Bacio di Giuda», mentre gli orientali del «Pater Imon» (Padre Nostro), alludendo alla preghiera di Gesù nell’orto. Vicino alla colonna c’era un’area rocciosa, conosciuta come «Rocce degli Apostoli», che secondo la tradizione sarebbe stata la nuda pietra dove gli Apostoli si addormentarono mentre Gesù, poco lontano, pregava.
L'acquisto dell'area del Getsemani, che comprende anche l’area verde al di là della strada, lungo la valle del Cedron, fu un'operazione lunga e complessa, sintetizzabile in 29 date che vanno dal 9 novembre 1661 al marzo del 1905, quando per 57 mila franchi, gli Armeni cedettero anche il terreno a sud dell’Orto. Le proprietà della Custodia, sia della Grotta, in mano ai francescani fin dal 1361, che del giardino del Getsemani, furono iscritte nei registri imperiali ottomani il 14 dicembre del 1903.
E’ singolare la storia dell’acquisto dell’Orto degli Ulivi, comprato grazie al denaro donato da due fratelli nobili e cattolici, Paolo e Giacobbe Grancovich, di Olovo, vicino a Sarajevo. Si potettero acquistare in tutto 18 “chirati” (particelle di terreno) su un totale di 24. L’orto apparteneva a diversi proprietari ma era gestito dal “wakf” della scuola di Salahie, una fondazione religiosa islamica che aveva sede nella chiesa di Sant’Anna vicino alla porta di Santo Stefano, alla quale, dal 1662, i francescani sborsavano annualmente una tassa perché altri non comprassero i terreni confinanti. Come cittadini dell’Impero Ottomano, i due fratelli poterono essere gli attori della transazione, acquistando il giardino per la definitiva cifra di 200 piastre, anche se il documento di acquisizione ne certificò solo 90.
Una volta acquistata la proprietà i francescani, per proteggere gli ulivi che la tradizione faceva risalire al tempo di Gesù, nel 1868 sostituirono il muretto della recinzione, alto circa un metro, con uno più alto, rifatto nuovamente nel 1959.
La non semplice realizzazione del primo muro è descritta nella cronaca di P.Camillo da Rutigliano, l’allora Segretario di Terra Santa.
Attorno al muro, nel 1872 furono sistemate, all’interno di nicchie, 14 tavole in terracotta fabbricate a Napoli con le Stazioni della Via Crucis e nello stesso anno fu costruita una stanza per il francescano incaricato della custodia del luogo e degli otto ulivi. Nel 1879, fuori della chiusura dell’orto, fu posto anche un bassorilievo di Gesù Cristo orante tra gli ulivi, opera dell’artista veneto Giovanni Torretti, e donato dalla famiglia veneziana Paolucci all’allora Custode P. Cipriano.
Anche grazie all’esposizione di queste opere, in attesa della ricostruzione della basilica, i francescani legarono saldamente alla loro custodia il Getsemani, assicurandolo alla venerazione dei pellegrini per i secoli futuri.
Il padre Custode Ferdinando Diotallevi (1918-1924) è ricordato, tra le altre cose, per la costruzione delle due Basiliche del Getsemani e del Monte Tabor. In particolar modo, la costruzione del Getsemani vide coinvolte diverse figure attive in Palestina all’inizio del secolo XX, dalle diverse realtà religiose a quelle politiche.
La scoperta, nel 1891, delle antiche rovine crociate della chiesa del Salvatore al Getsemani, creò le basi per la costruzione di una nuova basilica. L’iniziale desiderio ricostruttivo dovette ben presto arrestarsi per la presenza, dentro alla proprietà francescana, della colonna del «Bacio di Giuda», motivo per cui gli ortodossi, Greci e Armeni, si rifiutavano di cedere il loro diritto di passaggio, che consentiva ai cristiani orientali di potersi recare e pregare nel luogo che era commemorato per la preghiera di Gesù nell’orto.
Terminato il tempo del sostegno degli Zar ai Greci, altri ostacoli si frapposero tra la Custodia e la costruzione della nuova Basilica del Getsemani. Primo fra tutti l’intenzione, espressa dall’arcivescovo di Tolosa, mons. Jean-Augustin Germain, di costruire sul Monte degli Ulivi un grande “Tempio Nazionale Francese”, dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Su consiglio della Propaganda Fide, il Custode Diotallevi scrisse all’arcivescovo di Tolosa per dissuaderlo alla costruzione della basilica al Sacro Cuore e per invitarlo a sostenere la ricostruzione della basilica del Getsemani dei francescani.
Nel frattempo, la Custodia fece tutte le operazioni necessarie per avviare il progetto: diede l’incarico di disegnare la nuova basilica all’ingegnere di Roma, Antonio Barluzzi, e riuscì, non senza fatica, ad ottenere il consenso dai Greci per trasportare la colonna del «Bacio di Giuda» fuori le fondazioni della chiesa medievale. Nonostante le difficoltà economiche in cui versava la Custodia, il Ministro generale dell’Ordine, Serafino Cimino, rassicurò Diotallevi che non sarebbe mancato il sostegno finanziario alla costruzione dei nuovi Santuari.
Il 17 ottobre 1919 il cardinal Filippo Giustini, protettore dell’Ordine dei Frati Minori e legato papale in Palestina, in occasione del settimo centenario della fondazione della Custodia di Terra Santa, pose la prima pietra del nuovo santuario del Getsemani.
Nonostante il Pontefice Benedetto XV sostenesse il progetto della Custodia, l’arcivescovo Germain di Tolsa, non desisteva dalla sua idea di costruire una chiesa sul Monte degli Ulivi. Allo stato francese era stato donato il terreno che conservava i resti ritenuti della basilica costantiniana dell’Eleona, l’attuale Pater Noster: lì doveva sorgere la grande chiesa, che vide la posa della prima pietra il 2 gennaio del 1920. I britannici, potenza mandataria in Palestina non potevano vedere di buon occhio queste iniziative francesi, che insistevano sulla supremazia del protettorato francese nei territori palestinesi. La costruzione, fortemente contestata, non era comunque destinata ad andare a buon fine: sette anni più tardi i lavori furono definitivamente sospesi per mancanza di fondi.
Il governatore inglese di Gerusalemme, Ronald Storrs, non manifestò sostegno nemmeno al progetto francescano, per ragioni legate alla sua fede protestante e al suo senso estetico. Volontà contraria alla Custodia fu espressa anche dell’alto commissario Herbert Samuel, che fece sospendere i lavori con ordinanza datata 19 Luglio 1920. Nel frattempo, la sensazionale scoperta delle “fondazioni intere” della chiesa della seconda metà del IV secolo, vista da Egeria e distrutta dai Persiani, mantenne alta la speranza della Custodia di condurre a buon fine i lavori. Parere favorevole alla realizzazione degli scavi fu dato dal prof. John Garstang, direttore del Dipartimento palestinese per le Antichità.
Questa scoperta provocò molta agitazione nei Greci, che nell’ottobre del 1920, a causa di un’apertura fatta nel muro che racchiudeva la proprietà francescana del Getsemani, fecero ricorso al Governo mandatario e si opposero con nuovi violenti scontri. I lavori furono fatti sospendere e la maldestra mediazione del patriarca latino Barlassina non aiutò. I Greci avanzarono addirittura i diritti di proprietà sul luogo del Getsemani e sulla futura basilica.
Un mese e mezzo più tardi, grazie alle azioni diplomatiche del Custode, i lavori al Getsemani ripresero. La costruzione di una cinta muraria e l’apertura della nuova porta misero nuovamente in movimento i Greci, i quali armati di bastoni, si diressero verso il Getsemani, dove distrussero ciò che era stato realizzato fino a quel momento, con l’idea di occupare il terreno. Dopo ore di tensione, si raggiunse un accordo che consentì ai francescani di proseguire gli scavi sotto la supervisione del Dipartimento per le Antichità. Gli ostacoli andarono via via dissolvendosi, anche a causa delle divisioni interne ai Greci, che in quel tempo non erano uniti attorno al patriarca Damianos, considerato troppo arrendevole di fronte ai britannici e, nel caso specifico del Getsemani, ai francescani.
I permessi di costruzione della Basilica, sul nuovo progetto del Barluzzi, arrivarono solo il 6 gennaio del 1922 e consentirono l’ulteriore spostamento della colonna del «Bacio di Giuda» sul muro all’esterno della proprietà francescana, in modo da permettere ai fedeli ortodossi di recarsi a venerarla. Con l’anno successivo, qualsiasi “servitù” e diritto dei Greci sulla proprietà francescana fu interrotto con un accordo bilaterale.
Infine, anche grazie alla nascita della rivista Terra Santa, che diffuse la causa del Getsemani, non tardò il sostegno economico delle numerose offerte arrivate da molti Stati cattolici, motivo per cui la basilica venne chiamata “Chiesa di tutte le Nazioni”.
Grazie al rapido lavoro di circa quattrocento operai, l’inaugurazione del Getsemani ebbe luogo il 15 giugno del 1924, davanti a molte autorità ecclesiastiche e civili. Inoltre, per poter permettere al Custode Diotallevi di officiare all’inaugurazione delle basiliche del Getsemani e del Tabor, gli furono accordati altri sei mesi di custodiato, in aggiunta ai sei anni di mandato già trascorsi.
Un firmano del 1636 dichiara che i Religiosi Francescani possedevano la Tomba di Maria fin dai tempi antichi. Nel 1361 e 1363, infatti, sia la Regina Giovanna di Napoli che Pietro IV d’Aragona si prodigarono presso il sultano mamelucco d’Egitto per far ottenere la Tomba di Maria ai Francescani. Il loro intervento ebbe esito positivo: negli Statuti di Terra Santa del 1377 è prescritto che i Frati celebrino ogni sabato la Santa Messa presso la Tomba della Vergine, celebrazioni ricordate anche nel 1384 dal pellegrino italiano Giorgio di Guccio Gucci.
Il possesso della tomba di Maria da parte dei Francescani e il loro diritto esclusivo di potervi celebrare quotidianamente la Santa Messa, fu ribadito nei decreti dei sultani ottomani fino al 1847 ma definitivamente annullato, pochi anni dopo, da un firmano del 1853, visto che, di fatto, non riuscivano più a celebrarvi.
Infatti, nel 1757 molti santuari furono presi con un atto di forza dai Greci Ortodossi, tra i quali anche la Tomba di Maria, che non fu mai più restituita. Questo evento limitò la presenza francescana nel luogo e l’intervento della Russia, a favore dei Greci Ortodossi, di fatto impedì il ristabilirsi dei diritti dei Francescani.
Oggi la Tomba della Vergine è custodita dagli ortodossi Greci e Armeni e costituisce, assieme a Betlemme, il Santo Sepolcro e l’Ascensione, il quarto Luogo Santo regolato dallo Statu Quo. Lo Status Quo ha stabilito che i francescani possono continuare a recarsi, solennemente in processione, solo una volta all’anno, per la festa dell’Assunzione della Beata Vergine, il 15 di Agosto.
A differenza della Tomba di Maria, la Grotta del Tradimento, posta a destra dell’ingresso alla Tomba, è rimasta ai Francescani. Come per la Tomba, la presenza dei frati è da far risalire al XIV secolo. Nel 1803 questi ottennero il permesso dal sultano Selim III di mettervi una porta all’entrata e di averne la chiave. Questa porta permise il mantenimento del luogo di preghiera.
ottobre 1956 - marzo 1957
A seguito di una violenta alluvione, avvenuta il 23 novembre del 1955, la Custodia di Terra Santa avviò i lavori di restauro nella Grotta del Tradimento. Fu l’occasione per padre Virgilio Corbo di studiare l’ambiente e fare interessanti scoperte. Gli studi, pubblicati nel 1965, hanno fatto chiarezza sulle varie trasformazioni susseguitesi.
Al tempo di Gesù, diverse erano le grotte naturali che formavano il paesaggio del Monte degli Ulivi, se si considera che anche la stessa Tomba della Vergine, posta accanto, in origine fosse una grotta.
Il primitivo ingresso alla grotta era posto sulla parete di nord, a destra dell’accesso attuale, e l’interno era costituito della parte centrale dell’attuale ambiente, unito alla zona dove ora è posto l’altare maggiore, e da una seconda grotta che si trova a sud, riaperta durante i lavori. La volta era sostenuta da quattro pilastri di roccia naturale, di cui oggi ne restano tre.
La grotta era dotata di un serbatoio d’acqua: una cisterna posta nell’angolo di nord-ovest, a destra dell’attuale ingresso, era collegata a una vaschetta più piccola dove, attraverso un sistema di canaline, le acque piovane venivano raccolte e fatte decantare prima di essere conservate nella cisterna.
Secondo padre Corbo, nella depressione posta a est, dove è l’attuale altare, esisteva un pressoio per l’olio. Una cavità nella parete, ancora visibile, avrebbe ospitato il braccio del pressoio. Inoltre, l’acqua all’interno della grotta sarebbe servita a stemperare la densità dell’olio per farlo scorrere più facilmente nelle zone di raccolta. Le ridotte dimensioni dell’ambiente, però, mettono in discussione questa ipotesi.
La grotta, a partire probabilmente dal IV secolo, fu trasformata in chiesa rupestre e assunse presto la vocazione funeraria. Fu realizzato una specie di deambulatorio lungo le pareti di sud e di ovest e la luce entrava da un lucernario. La costruzione della chiesa della Tomba di Maria, alla fine del IV secolo, ostruì l’accesso originario, che fu spostato verso nord-ovest.
A partire dal V secolo numerose tombe furono realizzate al suo interno. Anche nelle pareti della cisterna furono ricavate tombe ad arcosolio e il pavimento fu strutturato, con muretti, in diversi loculi per le sepolture e ricoperto con mosaico con iscrizione, visibile alla destra dell’attuale ingresso, di cui restano due parole di una invocazione in greco: “KE ANAPAUS(ON)”, “Signore, dona il riposo”.
La necropoli, realizzata tagliando il pavimento musivo in tessere bianche, era composta da 42 sepolture,comprese tra l’età bizantina a quella crociata, con qualche caso di riutilizzo successivo. Sono diverse le iscrizioni sepolcrali ritrovate durante i lavori, alcune in lingua greca e altre in caratteri cufici. L’unico spazio preservato dalle sepolture è quello del presbiterio, dove si trova ancora oggi l’altare. Non mancano nella grotta i graffiti lasciati dai fedeli, sulla volta della grotta, in età bizantina.
Durante il periodo crociato la grotta fu abbellita con delle pitture sulla volta, di cui restano tracce delle stelle e del ciclo evangelico, accompagnato da una iscrizione dipinta di alcuni versetti evangelici. Le ripetute alluvioni e l’incuria hanno causato diversi danni agli intonaci. Seguendo le descrizioni lasciate dal pellegrino Giovanni di Würzburg e in base agli studi iconografici si ipotizzò che il soggetto del ciclo pittorico del presbiterio, di cui restano solo tratti di vesti, aureole ed un’ala di angelo, fosse composto da tre scene: la preghiera del Cristo nel Giardino, il Cristo con gli apostoli e l’Angelo che consola il Salvatore.
Un recente restauro della volta, eseguito in occasione del giubileo del 2000, ha ripulito gli intonaci, dove è possibile osservare, sopra alle pitture, i numerosi graffiti lasciati dai pellegrini durante e dopo l’età crociata.
L’accesso attuale ha subito delle modifiche ma resta sostanzialmente quello aperto, nel 1655, tra i due muri di contenimento delle terrazze sovrastanti.
L’idea comune di chi visita per la prima volta la Terra Santa è che l’orto degli Ulivi, chiamato nei Vangeli anche “giardino”, sia un ampio appezzamento di terra ricco di piante e fiori, immerso nella quiete della natura, esente dalla confusione della Città Santa. Ma se al tempo di Gesù buona parte del Monte degli Ulivi doveva essere effettivamente cosparso di piante e coltivazioni, oggi la situazione generale appare non esattamente la stessa. Eppure, il piccolo podere con pochi ulivi secolari, resta l’ambiente naturale tra i più fedeli alla Gerusalemme di duemila anni fa.
Gesù si ritirava in questi poderi coltivati per trascorrere la notte e pregare. E quella sera di giovedì, dopo l’ultima cena e prima dell’arresto, vi si ritirò con i discepoli. Come raccontano i vangeli sinottici, fu in questo luogo che Gesù provò la più profonda angoscia, decidendo di affidarsi, in totale abbandono, alla volontà del Padre.
L’orto degli Ulivi, si trova a oriente della valle del Cedron, all’incrocio del sentiero che sale al Dominus Flevit e la trafficata Jerico Road. Posto all’ingresso del santuario del Getsemani, il giardino occupa un’area di circa 1.200 m2. Una cancellata permette ai pellegrini di girare attorno ai secolari alberi di ulivo e allo stesso tempo li protegge dall’alto numero di visitatori.
A fianco degli otto alberi più antichi, sono stati piantati nuovi ulivi che hanno sostituito i cipressi e le diverse piante da fiore che nell’Ottocento erano usate per le decorazioni floreali del Santo Sepolcro.
Gli ulivi antichi, dai tronchi cavi e contorti, posseggono un diametro di oltre 3 metri. Recentissimi studi hanno verificato la perfetta salute degli alberi e hanno datato la parte aerea al XII secolo. Ma il dato più sbalorditivo, emerso dalle ricerche, è la fratellanza degli otto ulivi: essi posseggono lo stesso DNA, a significare che provengono da talee, ovvero rami recisi e innestati, appartenenti a una stessa pianta madre. Il dato fa pensare che sia stato scelto appositamente un particolare ulivo, forse ritenuto testimone della notte di agonia di Gesù. Le più antiche piante dell’orto, dunque, sono giunte intatte dall’età Crociata, sopravvivendo alla distruzione della chiesa e agli anni di abbandono, terminati nel 1681, quando i Padri Francescani entrarono ufficialmente in possesso del podere.
Interessante la testimonianza del pellegrino Giorgio Cucci, che nel 1384 descrive gli ulivi dell’orto come “antichissimi”, “numerosi e belli”.
Camminando lungo la recinzione dell’orto è possibile vedere anche l’ulivo piantato da Paolo VI, il 4 gennaio 1964, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa.
Ogni anno, dall’orto degli Ulivi parte la processione del Giovedì Santo, guidata dal Custode francescano: calata la notte, tutti i fedeli e i pellegrini si riuniscono al Getsemani per vegliare in preghiera nell’Ora Santaper poi dirigersi verso il Gallicantu, dove Gesù trascorse la notte in carcere.
Per la cura dell’uliveto contribuiscono alcuni volontari che vengono da tutto il mondo per aiutare i frati della Custodia soprattutto al momento della raccolta e della potatura.
Sulla sommità di una monumentale scalinata s’innalza la Basilica, affacciata sulla valle del Cedron, proprio di fronte all’antica Porta d’Oro che si apre lungo le mura merlate di Gerusalemme.
L’atrio della Basilica è formato da tre grandi arcate a tutto sesto, sostenute da pilastri fiancheggiati da colonne monolitiche, decorate con capitelli corinzi che richiamano quelli dell'originaria chiesa bizantina. Sulla cornice, in corrispondenza delle colonne, si elevano le statue dei quattro evangelisti, modellate dal Tonnini.
L’attenzione del visitatore è richiamata dal maestoso mosaico del timpano, eseguito con sfavillanti tessere colorate su fondo dorato. Il soggetto, ideato da Giulio Bargellini e realizzato dalla ditta Monticelli nel 1930, è un inno a Gesù, rappresentato come mediatore tra Dio e l’umanità. L’umanità è divisa in due gruppi: a sinistra quello dei sapienti che piangono i loro limiti, a destra quello dei semplici e degli afflitti. Entrambi i gruppi si flettono in preghiera davanti a Gesù che raccoglie le suppliche dell’intera umanità a braccia aperte e, alzando il capo, le riconsegna al Padre, inizio e fine di ogni cosa. Un angelo, alla destra di Gesù, prende il suo cuore carico delle sofferenze degli uomini. Sotto la scena, un versetto della lettera agli Ebrei accompagna e chiarisce l’intento teologico del mosaico: “PRECES SUPPLICATIONESQUE CUM CLAMORE VALIDO ET LACRYMIS OFFERENS EXAUDITUS EST PRO SUA REVERENTIA” (“Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime: per la sua riverenza venne esaudito”: cf. Eb 5,7)
Sulla sommità di una monumentale scalinata s’innalza la Basilica, affacciata sulla valle del Cedron, proprio di fronte all’antica Porta d’Oro che si apre lungo le mura merlate di Gerusalemme.
L’atrio della Basilica è formato da tre grandi arcate a tutto sesto, sostenute da pilastri fiancheggiati da colonne monolitiche, decorate con capitelli corinzi che richiamano quelli dell'originaria chiesa bizantina. Sulla cornice, in corrispondenza delle colonne, si elevano le statue dei quattro evangelisti, modellate dal Tonnini.
L’attenzione del visitatore è richiamata dal maestoso mosaico del timpano, eseguito con sfavillanti tessere colorate su fondo dorato. Il soggetto, ideato da Giulio Bargellini e realizzato dalla ditta Monticelli nel 1930, è un inno a Gesù, rappresentato come mediatore tra Dio e l’umanità. L’umanità è divisa in due gruppi: a sinistra quello dei sapienti che piangono i loro limiti, a destra quello dei semplici e degli afflitti. Entrambi i gruppi si flettono in preghiera davanti a Gesù che raccoglie le suppliche dell’intera umanità a braccia aperte e, alzando il capo, le riconsegna al Padre, inizio e fine di ogni cosa. Un angelo, alla destra di Gesù, prende il suo cuore carico delle sofferenze degli uomini. Sotto la scena, un versetto della lettera agli Ebrei accompagna e chiarisce l’intento teologico del mosaico: “PRECES SUPPLICATIONESQUE CUM CLAMORE VALIDO ET LACRYMIS OFFERENS EXAUDITUS EST PRO SUA REVERENTIA” (“Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime: per la sua riverenza venne esaudito”: cf. Eb 5,7)Il massicio portale d’ingresso della Basilica, opera dell’ingegner Pietro Adelchi Ricci, è stato realizzato grazie al contributo economico di padre Giovanni Gramiccia, Commissario Generale di Terra Santa, e dei benefattori napoletani.
Si tratta dell’ultima opera dell’artista, morto per malattia ad Amman a soli 30 anni. Durante la sua permanenza a Gerusalemme, in cui fu assistente del Barluzzi, il Ricci ebbe modo di studiare la nuova fabbrica e le intenzioni dei vari artisti che vi avevano collaborato.
Il portale, realizzato solo nel 1999 e in forme più semplici rispetto al progetto originario, fu modellato dallo scultore Tonnini. Rappresenta l’albero della vita con quattro tralci che racchiudono i simboli degli evangelisti. Nei quattro cartigli sono incisi, in lingua latina, i brani dei Vangeli che raccontano l’agonia di Gesù. Ai piedi dell’albero è cesellato lo stemma della Custodia con la croce di Terra Santa e le due braccia incrociate, di Gesù e San Francesco, che recano sul palmo della mano i segni rispettivamente delle piaghe della crocifissione e delle stimmate.
Oltrepassato il portale, un suggestivo albero di ulivo in bronzo, dell’artista S. Gabai , dalle fronde contorte e nodose come i centenari Ulivi dell’orto sacro, decora la vetrata della bussola. La forte luce del sole filtra all’interno della chiesa attraverso le fronde dell’albero, rappresentazione di quegli ulivi che furono muti testimoni dell’agonia di Gesù.
L’interno della Basilica, intervallato da due file di sei colonne rosate che sostengono le 12 volte uniformi, ricalca, con dimensioni più ampie, la chiesa teodosiana, di pianta basilicale a tre navate, terminanti in absidi semicircolari.
Nel progetto del Barluzzi tutto concorre a rievocare la scena notturna di quel giovedì di Pasqua, quando tra le fronde degli ulivi e al chiaro di luna, Gesù patì l’agonia e l’abbandono alla volontà del Padre.
La luce all’interno della Basilica è concepita dall’architetto come elemento caratterizzante: l’oscurità interna, in marcato contrasto con la bianca luminosità dell’esterno, è volutamente ottenuta grazie ai vetri opalescenti con colori violacei delle finestre che scandiscono le pareti della chiesa. I diversi toni del viola filtrano tra i trafori geometrici disegnando il motivo della croce.
L’ambientazione notturna creata all’interno della Basilica è rafforzata dai mosaici delle 12 volte dove, su uno sfondo azzurro cupo, si accende il cielo stellato incorniciato tra i rami di ulivo. Al centro di ogni volta sono rappresentati diversi motivi che richiamano la passione e morte di Gesù assieme allo stemma della Custodia di Terra Santa. Per ricordare tutte le Nazioni che contribuirono alla realizzazione della Basilica, furono riprodotti i loro emblemi nelle cupole e nei mosaici dell’abside. Iniziando dall’abside della navata di sinistra, sono ricordate l’Argentina, il Brasile, il Cile ed il Messico; nella navata centrale l’Italia, la Francia, la Spagna e l’Inghilterra; nella navata di destra il Belgio, il Canada, la Germania e gli Stati Uniti. Grazie a questa collaborazione internazionale la chiesa è anche chiamata “Basilica delle Nazioni”.
Per la decorazione del pavimento l’architetto ebbe la moderna intuizione di riprodurre i mosaici e la pianta dell’antica basilica Teodosiana su cui fu rialzata l’attuale. Le fasce di pietra grigia seguono il perimetro delle murature della chiesa bizantina, affiancate da una striscia con marmi bianchi e neri a zigzag che indicano la posizione delle canaline di scolo delle acque piovane che finivano nella cisterna. Grazie ai resti di mosaico ritrovati negli scavi, l’artista Pietro D’Achiardi ricostruì il disegno a motivi geometrici del pavimento del IV secolo: percorrendo la basilica s’incontrano diversi inserti, ricoperti da lastre di vetro, che permettono di osservare i tasselli del pavimento originario. Mentre per le navate laterali la fedele ricomposizione del mosaico antico propone dei riquadri a motivi geometrici, bordati da cornici a nastri intrecciati, per la navata centrale fu eseguito un nuovo disegno che tiene in considerazione i colori delle tessere che costituivano l’antico mosaico. Il nuovo mosaico si basa sui motivi tradizionali dell’arte bizantina del IV secolo: un bordo a volute di foglie d’acanto con fiori e uccelli su sfondo nero, incornicia il sobrio riquadro centrale che vede rappresentata, dentro a una treccia, la croce stilizzata con il monogramma, detto costantiniano, simbolo usato già dai primi cristiani, che nasce dall’intreccio delle lettere greche X e P, “chi” e “rho”, abbreviazione di “Christós”.
Entrando nella basilica lo sguardo è attratto dalla scena dell’agonia di Gesù rappresentata nell’abside centrale. La composizione, ideata dal maestro Pietro D’Achiardi, è volutamente semplice e resa con forme stilizzate, con lo scopo di aiutare l’osservatore ad avvicinarsi all’umanità di Gesù, alla tristezza dell’Uomo-Dio che sceglie liberamente di affidarsi alla volontà del Padre.
Al centro della scena è Gesù, accasciato, sulle rocce che lo sostengono, nella cornice notturna dell’orto degli Ulivi. I tre apostoli che furono presi dal sonno “per la tristezza”, come racconta l’evangelista Luca, si scorgono poco distante, dietro agli ulivi. La buia volta celeste accentua l’ambientazione notturna, dove risplende dall’alto l’angelo che scende per portare conforto a Gesù. La scena rappresentata è quella del racconto dell’evangelista Luca, di cui vengono riportati, in latino, i versetti più densi di significato: “APPARUIT AUTEM ILLI ANGELUS DE COELO CONFORTANS EUM. ET FACTUS IN AGONIA PROLIXIUS ORABAT. ET FACTUS EST SUDOR EIUS SICUT GUTTAE SANGUINIS DECURRENTIS IN TERRAM” (“Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra”, Lc 22, 43-44). Il Commissariato ungherese sostenne le spese per la realizzazione del mosaico, motivo per cui lo stemma nazionale si trova alla base dell’opera assieme a quelli della Custodia Terra Santa.
I mosaici delle due absidi laterali sono opera di Mario Barberis. Nonostante la diversità compositiva e artistica rispetto a quello centrale, l’uso della stessa gamma cromatica e l’ambientazione notturna nell’orto degli Ulivi, conferisce all’insieme una buona uniformità.
Nell’abside della navata di sinistra è rappresentato il bacio, descritto da Matteo e Luca, con cui Giuda tradì Gesù: quello era il segno concordato con le guardie e i sommi sacerdoti per identificarlo. Gesù è abbracciato da Giuda al centro della scena, mentre gli apostoli, coronati di aureola, stanno sulla sinistra e le guardie, che si fanno luce con una fiaccola, sulla destra (Mt 26, 30; Lc 22, 48). Lo Stemma dell’Irlanda, che sostenne le spese dell’opera, trova posto in basso a destra.
Nell’abside della navata di destra, il mosaico del Barberis ritrae la scena raccontata nel vangelo di Giovanni, conosciuta come “EGO SUM”, ovvero “Io sono”. E’ la risposta che Gesù diede alle guardie che cercavano il Nazareno, e che le fece indietreggiare e cadere a terra (Gv 18, 6). Gli apostoli, sulla sinistra, sono rappresentati da Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre Pietro tiene un pugnale pronto a difendere il suo Signore. Sulla destra le guardie sono concitate e alcune cadute a terra. Al centro, Gesù, tiene le braccia aperte in segno d’accoglienza del suo destino ed è contornato di luce, a sottolineare la potenza della sua parola, che fa cadere a terra le guardie. La Polonia, che si assunse l’onere delle spese, è rappresentata nello stemma in basso a destra.
Il fulcro della Basilica è costituito dalla nuda roccia, lasciata esposta alla venerazione, una pratica comune a molti Luoghi Santi e testimoniata fin dall’antichità. Infatti, sicuramente fin dal XIV secolo, i pellegrini al Getsemani avevano l’usanza di prostrarsi davanti alle “Rocce degli apostoli”, dove si sarebbero addormentati Pietro, Giacomo e Giovanni durante l’agonia di Gesù, e che ancora oggi si trovano all’esterno della Basilica, nella zona retrostante. Ma questo tipo di venerazione doveva già esistere, se, come sembra, in entrambe le chiese, bizantina e crociata, la nuda roccia fu lasciata in vista all’interno dell’edificio, perchè i fedeli potessero toccare quella stessa pietra testimone del sudore di sangue e delle sofferenze di Gesù.
Anche oggi i pellegrini possono inginocchiarsi davanti alla roccia, presso il presbiterio, al di là di una balaustra che imita quelle paleocristiane. La roccia, che dopo quasi un secolo di ossequio inizia a mostrare le tracce della venerazione, è racchiusa in una corona di rovi intrecciati in ferro battuto e argento, alta circa 30 cm, e leggermente inclinata all’interno. L’opera dell’artista Alberto Gerardi è completata da due colombe morenti, realizzate in argento, che decorano gli spigoli, e da tre calici cui si abbeverano due colombe, uno per ogni lato della recinzione: la simbologia dell’opera allude alla Passione di Cristo e al suo martirio.
Presso le absidi si vede la roccia naturale, con l’antica scalpellatura, su cui poggiano le mura della basilica. Si possono ancora vedere alcune pietre della basilica teodosiana ritrovate durante gli scavi archeologici: una nell’abside di destra e due in quella di sinistra, che conservano le tracce dell’antico canale di scolo delle acque piovane.
Oltrepassato il portico della Basilica, sul lato sud, sono visibili le rovine dell’antica Basilica crociata dedicata al Salvatore, della fine del XII secolo: furono i primi resti ritrovati a fine Ottocento e scavati dai francescani a partire dal 1909. La chiesa fu costruita sensibilmente ruotata verso sud rispetto alla precedente bizantina, e aveva dimensioni più ampie. Era a tre navate con pilastri cruciformi e absidi semicircolari. Un restauro successivo sostituì i pilastri con massicci basamenti ottagonali.
Gli scavi e la successiva costruzione della Basilica moderna hanno prodotto l’abbassamento dei livelli originari della chiesa: oggi si possono facilmente osservare le possenti mura laterali ma non il pavimento, esportato durante i lavori. Il banco roccioso, che s’innalza verso le absidi, doveva emergere dal pavimento ed essere in vista anche nel periodo crociato.
A testimoniare la ricchezza della decorazione della chiesa resta solo un frammento di affresco con un volto di angelo oggi conservato al museo archeologico dello Studium Biblicum Franciscanum, presso il Convento della Flagellazione. A fianco del volto dell’angelo vi è un’aureola con croce gemmata, che è attribuita alla figura del Cristo. Le interpretazioni della scena sono due: quella dell’agonia descritta da Luca, in cui un angelo apparve a Gesù per confortarlo, e quella di una maestà con Cristo assiso in trono circondato dagli arcangeli.
Non tutti i resti di colonne e capitelli sparsi nei dintorni appartengono alla chiesa bizantina e crociata del Getsemani perché, in questo luogo, sono conservate anche le colonne dell’Anastasis della chiesa del Santo Sepolcro, molto danneggiate e per questo sostituite durante il restauro del XX secolo.
La grotta, detta comunemente del Getsemani, che in aramaico indicava il luogo del frantoio, si trova alla destra della Tomba della Vergine e si apre alla fine di un corridoio. La tradizione, sin dal IV secolo, colloca qui il tradimento di Giuda. Dopo l’agonia avvenuta nell’orto degli Ulivi, Gesù andò incontro agli apostoli che sostavano nella grotta, e qui lo raggiunse Giuda accompagnato dalle guardie.
I francescani entrarono in possesso di questo luogo nel 1361 e, a differenza della Tomba di Maria, ne detengono ancora la proprietà. A seguito di una alluvione avvenuta nel 1955, la Custodia di Terra Santa, per mano di padre Virgilio Corbo, condusse degli scavi che consentirono di studiare la struttura della grotta e fare interessanti scoperte sulle diverse fasi della sua storia.
La grotta, che misura circa metri 19x10, con una altezza di metri 3,5, ha sempre mantenuto un aspetto abbastanza naturale nonostante le varie trasformazioni. Inizialmente era un ambiente a vocazione agricola con cisterne e canaline dell’acqua e forse un frantoio; a partire dal IV secolo divenne una chiesa rupestre a vocazione funeraria; in età crociata fu decorata con una volta dipinta di stelle e scene evangeliche.
Dall’ingresso, che fu aperto a seguito di un’alluvione che nel 1655 rese impraticabili i precedenti passaggi, si scendono alcuni scalini che portano all’interno della grotta. La volta rocciosa e intonacata, in parte naturale e in parte tagliata artificialmente, è sostenuta da pilastri rocciosi o di muratura. In occasione dell’anno giubilare 2000 è stato eseguito un restauro alla volta dipinta in età crociata: resti di affreschi e numerosi graffiti lasciati dai pellegrini sono tornati alla luce. I tre dipinti racchiusi in riquadri che rappresentano la preghiera di Gesù nel giardino, il Cristo con gli apostoli e l’angelo che consola il Salvatore, fanno parte della decorazione crociata della volta.
Un’iscrizione in lingua latina, composta di tre righe con lettere capitali in bianco su fondo rosso e nero, è dipinta sulla volta, alla destra del presbiterio. La traduzione proposta è: “Qui il Re Santo ha sudato sangue. Il Signore e Cristo ha spesso frequentato questi luoghi. Padre mio, se vuoi, allontana da me questo calice”. Probabilmente altre iscrizioni come queste separavano le scene rappresentate, con lo scopo di descriverle.
I quadri, realizzati ad affresco, sono opera dell’artista Umberto Noni. Quello dietro all’altare ha per soggetto la preghiera quotidiana di Gesù tra gli apostoli, ambientata all’interno di una grotta, come quella del Getsemani.
Dando le spalle all’altare, a sinistra delle scale di accesso, si può osservare parte dell’antica cisterna, all’inizio utilizzata come serbatoio d’acqua e poi trasformata in sepolcreto in età bizantina. Un’apertura sul pavimento permette di vedere parte del fondo della cisterna, con il piano suddiviso da semplici muretti in almeno cinque tombe. All’interno della cisterna, sulla parete di sud, fu realizzata una tomba in arcosolio. L’ingresso bizantino alla Grotta era posto su questo lato, al di sopra della cisterna. Da un’apertura quadrangolare lasciata alla base del muro, si vedono i gradini che, dal lato nord, conducevano al sepolcreto. Di fronte all’ingresso che in età bizantina conduceva alla grotta, si conserva un lacerto di mosaico pavimentale in tessere bianche con un’iscrizione greca in tessere rosse e contornata da riquadro nero. Si tratta di un’iscrizione funeraria di cui resta la prima riga che recita: “KE ANAPAUS(ON)” , “Signore, dona il riposo”.
Nel 2009 è stata avviata un’indagine sullo stato di salute degli antichi Ulivi dell’Orto sacro. I risultati delle indagini, resi noti nel 2012, hanno fatto luce anche su un tema tanto dibattuto quale l’età delle piante.
La ricerca è stata condotta da un team di professionisti e ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), assieme a varie università italiane, coordinati dal prof. Giovanni Gianfrate e dal prof. Antonio Cimato.
Le indagini hanno riconosciuto alle piante, oltre che un ottimo stato di salute, anche un’età di circa 900 anni, facendo risalire all’epoca crociata la parte aerea degli ulivi, ovvero del tronco e delle fronde. Ma la scoperta più singolare è venuta dall’analisi del DNA: gli otto ulivi presentano, infatti, lo stesso profilo genetico, ovvero appartengono allo stesso “genotipo”, un unico albero da cui sono stati prelevati dei rami più o meno spessi da mettere a dimora nel giardino.
Sembra dunque verosimile che, assieme alla costruzione della Basilica, i crociati abbiano risistemato il giardino, con il fine di “moltiplicare”, all’interno di uno spazio sacro, un’albero in particolare, forse perchè antico e venerato in riferimento alla preghiera di Gesù al Getsemani, allo stesso modo in cui si venerano anche oggi gli Ulivi.
La sacralità dell’Orto, grazie ai nuovi risultati, acquista maggiore forza: gli Ulivi sono davvero i testimoni della fede radicata della comunità cristiana di Gerusalemme, che assieme ai tanti pellegrini, non si stanca di annunciare la Risurrezione di Cristo al mondo intero.
Un progetto per conservare la Basilica del Getsemani, e formare i restauratori e i mosaicisti del domani.
Il progetto
L'intervento di restauro e conservazione si è svolto grazie al coordinamento di Associazione pro Terra Sancta e Mosaic Center di Gerico, con la supervisione scientifica di un’apposita commissione dello Studium Biblicum Franciscanum.
Gli obiettivi:
- Conservare e restaurare da un punto di vista architettonico e artistico uno dei Luoghi Santi più importanti di Gerusalemme e di tutta la Terra Santa.
- Formare giovani di Gerusalemme, attraverso un corso pratico di restauro dei mosaici.
- Accrescere la consapevolezza della popolazione locale e di tutta la comunità internazionale circa il valore storico e culturale di questo Luogo.
Le attività:
- Documentazione e pulitura dei mosaici che ricoprono le volte interne e la facciata esterna della Basilica.
- Risanamento del tetto della Basilica, del pavimento, e di tutte le parti danneggiate, sia interne che esterne.
- Realizzazione di corsi pratici di restauro dei mosaici per giovani di Gerusalemme, tenuto da esperti locali del Mosaic Center di Gerico.
- Organizzazione di attività e visite alla Basilica per i giovani delle scuole di Gerusalemme.
Attraverso il restauro realizzato alla Basilica del Getsemani i tanti pellegrini che giungono in Terra Santa possono ora continuare a visitare e celebrare in uno dei Luoghi Santi più importanti di Gerusalemme. Allo stesso tempo, è stata coinvolta la comunità locale nella preservazione del patrimonio storico e artistico di questa città, formando restauratori e mosaicisti e accrescendo il legame dei giovani locali con il proprio territorio, così ricco di storia.
Introduzione
Il podere del Getsemani, il luogo del frantoio, viene indicato da Matteo e da Marco come il sito in cui ha veramente inizio il dramma della Passione di Gesù. La debolezza umana di quel momento di tristezza e angoscia è marcata dalla preghiera di Gesù che per tre volte implora il Padre «che il calice passi»: l’immagine del calice ricorre nei Salmi, in senso figurato, per indicare la volontà di Dio (Sal 16,5; 23,5; 116,13) e nei Profeti associata alla sua ira e al suo giudizio (Is 51,17; Ger 25,15.28; Ez 23,32-33)
Ai discepoli addormentati Gesù ricorda di pregare per non «cadere in tentazione». Questo insegnamento è contenuto anche nella preghiera del Padre Nostro, affinché il Padre non abbandoni i suoi figli nel momento della tentazione, ma doni la forza di superarle.
Matteo narra il saluto di Giuda seguito dal bacio: si trattava di una forma abituale di saluto presso le popolazioni orientali e indicava uno stretto rapporto di amicizia. A questa amicizia Gesù non si sottrae e chiama lo stesso Giuda con l’appellativo di «amico». Nella redazione di Matteo trova ampio spazio anche la reazione di Gesù contro uno dei discepoli che, estratta la spada, stacca un orecchio al servo del sommo sacerdote. Gesù condanna il gesto con due motivazioni: da un lato l’esaltazione della non violenza e del perdono, dall’altro la certezza che la sua cattura fa parte del disegno che Dio ha tracciato e affidato alle Scritture dei profeti.
Testo
36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". 37 E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 E disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". 39 Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!". 40 Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: "Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? 41 Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". 42 Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà". 43 Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. 44 Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Ecco, l'ora è vicina e il Figlio dell'uomo viene consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".
47 Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!". 49 Subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. 52 Allora Gesù gli disse: "Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. 53 O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? 54 Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?". 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti". Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
I passi biblici sono tratti dalla Bibbia CEI 2008
Introduzione
L’evangelista Marco narra la notte di angoscia e di intensa preghiera di Gesù che lo portò al definitivo abbandono alla volontà del Padre, seguito dal tradimento di Giuda. Marco sottolinea che la preghiera di Gesù al Padre era carica di confidenza e di famigliarità. Nel testo, Gesù si rivolge a suo Padre con il termine «abbà», che nella tradizione giudaica non è mai usato nei confronti di Dio; inoltre, «abbà» è impiegato nei vangeli solamente in quest’unico testo, a sottolineare la profonda intimità tra Dio e suo figlio Gesù nel momento in cui Gesù si sentì più bisognoso dell’amore del Padre.
Marco è anche il solo ad aggiungere un dettaglio, forse di natura personale: si tratta di un giovane ragazzo che per fuggire alle guardie lascia cadere il lenzuolo rimanendo nudo. Potrebbe trattarsi di una memoria autobiografica. Marco era di Gerusalemme e lo stesso podere del Getsemani poteva appartenere alla sua famiglia; in quella notte sarebbe stato sorpreso a dormire nel suo riparo e per questo coperto del solo lenzuolo.
Testo
32 Giunsero a un podere chiamato Getsemani ed egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io prego". 33 Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 34 Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate". 35 Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. 36 E diceva: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu". 37 Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? 38 Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". 39 Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. 40 Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. 41 Venne per la terza volta e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 42 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".
43 E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 44 Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta". 45 Appena giunto, gli si avvicinò e disse: "Rabbì" e lo baciò. 46 Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. 47 Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio. 48 Allora Gesù disse loro: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. 49 Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!".
50 Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. 51 Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. 52 Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Introduzione
Tra gli evangelisti, Luca è il solo a ricordare il «sudore di sangue» causato dall’angoscia estrema di Gesù, che in quel momento di buio ricevette dal Padre il conforto di un angelo. Il fenomeno fisico dell’ematoisi si può verificare a causa di un’estrema sofferenza fisica e l’evangelista, che secondo la tradizione era un medico, l’attribuisce «all’agonia» (in greco significa «lotta») di Gesù contro il «potere delle tenebre». Il «potere delle tenebre» di cui erano in possesso coloro che vennero per prendere Gesù ha sia un significato letterale che biblico. Gesù lascia intendere che il suo arresto avvenne di notte, con il favore delle «tenebre», perché la folla che di giorno lo seguiva non potesse intervenire in suo aiuto. Inoltre le tenebre sono spesso usate nella Bibbia come metafora di tutto quello che è male e contaminato dal peccato. Il terzo evangelista è anche l’unico a raccontare il gesto di pietà che Gesù compì verso il servo del sommo sacerdote, guarendogli l’orecchio ferito dalla spada di uno dei discepoli.
Testo
39 Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40 Giunto sul luogo, disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione". 41 Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42 "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". 43 Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44 Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45 Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46 E disse loro: "Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione".
47 Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. 48 Gesù gli disse: "Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell'uomo?". 49 Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: "Signore, dobbiamo colpire con la spada?". 50 E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. 51 Ma Gesù intervenne dicendo: "Lasciate! Basta così!". E, toccandogli l'orecchio, lo guarì.
52 Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: "Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. 53 Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l'ora vostra e il potere delle tenebre".
54 Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.
Introduzione
Giovanni non presenta Gesù come il servo sofferente di Isaia 53. Il Gesù di Giovanni, attraverso la sua passione, porta a compimento la missione a cui era destinato e la sua stessa morte in croce ne è la glorificazione (Gv12, 20-33). Nel quarto vangelo, dunque, è assente tutto il racconto dell’agonia mentre si mostra un Gesù che nel giardino non viene consegnato da Giuda, ma che si offre volontariamente per bere il «calice» preparatogli dal Padre. Diversamente dai sinottici non viene nominato né il monte degli Ulivi né il Getsemani, ma un giardino al di là del Cedron, che è il torrente che separa il monte del Tempio dal monte degli Ulivi. Mentre gli altri evangelisti sono vaghi nell’indicare il colpevole del taglio dell’orecchio del servo del sommo sacerdote, Giovanni non solo specifica il nome del servo, Malco, ma individua in Simon Pietro il responsabile dello sfregio dell’orecchio destro. Questo gesto va interpretato come la volontà, da parte di Pietro, di imporre un marchio di infamia. Inoltre, Giovanni precisa che l’arresto di Gesù fu eseguito da una gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, situazione più realistica rispetto a quella indicata da Luca che include tra i presenti gli stessi capi dei Sacerdoti e i capi delle guardie del tempio.
Testo
1 Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2 Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3 Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4 Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: "Chi cercate?". 5 Gli risposero: "Gesù, il Nazareno". Disse loro Gesù: "Sono io!". Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6 Appena disse loro "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra. 7 Domandò loro di nuovo: "Chi cercate?". Risposero: "Gesù, il Nazareno". 8 Gesù replicò: "Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano", 9 perché si compisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato". 10 Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11 Gesù allora disse a Pietro: "Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?".
12 Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono 13 e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. 14 Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: "È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo".
Nascita e sviluppo del pio esercizio dell'Hora Sancta
Gesù appare nel 1674 a una “piccola donna”, Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) mentre era in adorazione. Non era la prima volta che Cristo le si manifestava mostrandole il suo Cuore. In quella circostanza Gesù le chiese l'« Ora Santa » di riparazione, da farsi tutte le notti tra il giovedì e il venerdì, dalle undici a mezzanotte. In quell'ora veniva fatta partecipe della tristezza di Gesù nel Getsemani.
Il diffondersi di questa pia pratica nel mondo cattolico restò intimamente legato al favore che incontrò nel XVIII e XIX sec. il Culto del Sacro Cuore di Gesù. L’Ora Santa si basa su tre caratteri principali che sono raccolti dalle memorie di Margherita Maria: la preghiera riparatrice, l’unione con Gesù sofferente al Getsemani, i gesti di umiliazione.
Nel maggio del 1930 fu celebrato a Paray Le Monial il primo centenario dell’istituzione dell’Ora Santa. Su invito dell’Arciconfraternita dell’Ora Santa tutto il modo cattolico si unì per celebrare assieme l’Ora Santa. Il p.Custode Aurelio Marotta dispose che al Getsemani, il medesimo luogo in cui Gesù patì la sua Ora Santa, venisse celebrata la pia pratica durante la notte. Tre anni dopo, il 6 aprile 1933, il giovedì che precedette la settimana Santa, davanti alla pietra dell’agonia nella basilica del Getsemani, il p.Custode Nazareno Jacopozzi eresse canonicamente la Confraternita dell’Ora Santa, affiliata a quella madre di Paray Le Monial.
La Confraternita ebbe subito numerosi iscritti da tutto il mondo (in un anno raggiunse i 21.500 iscritti che in tre anni diventarono 92.482). Chi ne faceva parte era chiamato a fare l’esercizio dell’Ora Santa nel pomeriggio o nella notte di ogni giovedì, pratica dalla quale riceveva l’indulgenza plenaria. Anche la messa cantata che ogni giovedì i frati francescani celebravano al Getsemani, era in suffragio degli iscritti alla confraternita.
Oggi la pratica dell’Ora Santa davanti alla pietra dell’agonia continua istituzionlamente ogni primo giovedì del mese alle ore 16:00. Inoltre, tutti i pellegrini che ne fanno richiesta possono celebrare l’Ora Santa al Getsemani durante il pellegrinaggio in Terra Santa.
Ogni anno, la sera del Giovedì Santo, la comunità francescana si riunisce, assieme alla comunità cristiana locale e a tutti i fedeli che arrivano a Gerusalemme per la Pasqua, per “vegliare e pregare” un’ora insieme a Gesù.
Vengono proclamati in arabo, ebraico, tedesco, inglese, francese, spagnolo, italiano e molte altre lingue, i passi evangelici sul luogo in cui Gesù, prima della cattura, sudando sangue si abbandonò alla volontà del Padre e al suo destino di sofferenza e umiliazione.
La celebrazione ricorda tre principali momenti narrati nei Vangeli della passione:
All’inizio dell’Ora Santa il P.Custode cosparge di petali di rose rosse la nuda roccia esposta davanti all’altare e si piega per baciarla. I petali ricordano le gocce di sangue che il Signore sudò in quella notte. La lettura dei brani evangelici si accompagna ad alcuni salmi ed orazioni. I tre momenti sono intervallati da brevi spazi di silenzio e di pregiera personale. Al termine della celebrazione tutti i fedeli si prostano, toccano e baciano le rocce venerate, prima di partire in processione, lungo la valle del Cedron, con le fiaccole accese, verso la chiesa del Gallicantu, il luogo dove sorgeva la casa del sommo sacerdote Caifa e dove Gesù fu portato e trascorse la notte in prigione.
Il Romitaggio del Getsemani offre la possibilità di pregare in solitudine sull’esempio di Gesù, che nella notte del Getsemani, QUI, si trattiene tutto solo in rapporto personale con il Padre.
In questa comprensione del Luogo invitiamo, ogni pellegrino, al delicato rispetto per lasciarsi prendere per mano dal Signore che parla ancor oggi.
Per questo si riesce a intuire che il Romitaggio del Getsemani è stato realizzato esclusivamente per la preghiera e non è né una meta turistica, né un alloggio per visitare la Terra Santa.
Il Romitaggio accoglie tutti: uomini e donne, presbiteri, religiosi e laici nel rispetto del cammino di ognuno.
Orari apertura e chiusura Santuario del Getsemani:
Estivo (aprile-settembre): 8:00 – 18:00
Invernale (ottobre-marzo): 8:00 - 17:00
Orari grotta del Getsemani
Estivo 8:00 - 12:00 / 14:30 - 18:00
Invernale 8:00 - 12:00 / 14:30 - 17:00
Sante messe conventuali:
Ogni giovedì alle ore 16:00 (in italiano).
La messa domenicale è seguita dall’adorazione Eucaristica.
Ora Santa officiata:
Dal lunedì al sabato ore 20:00-21:00 - Ora Santa Internazionale - da prenotare presso il Franciscan Pilgrims' Office - FPO
Ogni primo giovedì del mese alle ore 20:30 con fiaccolata intorno all'Orto Sacro.
Feste e Celebrazioni durante l'anno:
Periodo Quaresimale: Seconda settimana di Quaresima - Peregrinazione con Messa solenne
Settimana Santa: Mercoledì – Messa solenne con canto della Passione; Giovedì – Ora Santa
Solennità del Preziosissimo Sangue di Gesù – 1 Luglio
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria – 14/15 Agosto
Per ogni tipo di celebrazione sui luoghi è richiesta la prenotazione, da effettuare presso:
Franciscan Pilgrims' Office - FPO
tel: +972 2 6272697 E-mail: fpo@cicts.org
I gruppi cattolici possono celebrare la S. Messa o l’Ora Santa nei seguenti orari:
Feriale:
mattino: 8:00 – 9:00 – 10:00 - 11:00
pomeriggio: 15:00 – 16:00 (inverno) 17:00 (estate)
Domenica e feste:
mattino: 9:00 - 10:00 - 11:00
pomeriggio: 15:00 (inverno-estate).
Il servizio nei luoghi del Santuario è affidato alla Comunità francescana del Getsemani; un frate è sempre presente nel Santuario per il servizio di accoglienza e ascolto dei pellegrini. Per il Sacramento della Riconciliazione è sempre a disposizione un sacerdote.
Espressione della comunità del Getsemani è il Romitaggio, posto accanto alla Basilica. Il luogo, immerso in un grande giardino, offre la possibilità di pregare in solitudine, sull’esempio di Gesù, anche per un periodo di tempo più prolungato. Informazioni e prenotazioni:
GETSEMANI CONVENTO DELL'AGONIA
c/o FRATI FRANCESCANI POB 19094
91190 Jerusalem – Israel
Tel. +972 - 2 - 6266444
Fax +972 - 2 - 6261515
ROMITAGGIO DEL GETSEMANI
Tel. +972 - 2 - 6266430
Fax +972 - 2 - 6260394
E-mail: romitaggio@custodia.org
pagina web romitaggio
I luoghi santi del Getsemani sono aperti a tutti, ma si richiede rispetto e silenzio. Pertanto le spiegazioni vengano effettuate all’esterno.