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Siria, i cristiani chiamati a essere “ponti di pace”

Mons. Hanna Jallouf e fra Bahjat ridimensionano le paure: chiamati a costruire non a fuggire

Sono passati 14 anni dall’inizio della guerra civile siriana, e poco più di tre mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad.

“Il clima che respiriamo oggi in Siria, potremmo sintetizzarlo con la parola incertezza” racconta fra Bahjat Karakach, parroco latino di Aleppo. “La caduta del regime non significa automaticamente una buona situazione. Stiamo attraversando una fase molto difficile: le vecchie certezze non ci sono più e non sappiamo come sarà il futuro. Abbiamo bisogno di incoraggiare la gente e portare loro un messaggio di speranza”.

Dal 6 marzo, il paese è stato scosso da un’ondata di violenza, con scontri tra gruppi fedeli ad Assad (alawiti) e le forze di sicurezza del nuovo governo, con oltre 1.300 vittime.

“Questi scontri sono una vergogna” dice fra Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei Latini. “Fortunatamente i nostri frati e i nostri cristiani, sia a Damasco che ad Aleppo e nei villaggi, ma anche a Latakia sono al sicuro. In questa situazione siamo stati rimessi davanti alla nostra missione di pacificatori”.

“La prima reazione  davanti alle difficoltà è quella di fuggire” e questo vale anche per i cristiani, racconta fra Bahjat. “L’emigrazione non si è fermata dopo la caduta del regime. Avremmo bisogno di vedere passi concreti di sviluppo, ma finora è tutto il contrario: il mercato è fermo, molti continuano a perdere lavoro…”

In questi tre mesi i responsabili delle Chiese sono stati coinvolti nelle discussioni sulla nuova Costituzione: “Abbiamo partecipato a un congresso nazionale in cui abbiamo discusso la Costituzione e il futuro della Siria. La delegazione cristiana era consistente e abbiamo potuto illustrare la nostra visione” ha detto il vescovo Jallouf.

“Da subito abbiamo offerto la nostra collaborazione ai nuovi governanti, per assicurare la pace e la sicurezza della popolazione e la stabilizzazione del paese. Al tempo stesso esortiamo i nostri giovani a integrarsi nella vita politica e sociale per essere ‘luce del mondo e sale della terra’. Questo è il nostro compito, dare sapore alla vita in Siria”.

Nello scenario odierno, secondo fra Bahjat, il contributo della comunità cristiana è innanzi tutto quella di essere “ponte di pace”. “La comunità cristiana non ha fatto della violenza un mezzo per raggiungere i propri scopi, per questo gode di buon credito presso i siriani. Questo ci aiuta ad essere ponte di pace e dialogo tra le diverse fazioni. Dobbiamo investire su questo e mettere tutte le nostre forze in quest’opera di mediazione, di pace in mezzo al popolo siriano”.

Il 13 marzo, il presidente Ahmed al-Sharaa (Al-Jolani), già leader della fazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha firmato una Costituzione provvisoria valida per cinque anni. Il testo garantisce le libertà di opinione ed espressione, così come la libertà di culto. Tuttavia, la legge islamica rimane la principale fonte legislativa.

Fra Bahjat ridimensiona le preoccupazioni sorte su questo tema anche tra i cristiani: “In Siria è sempre stato così, non darei molto peso alla cosa in sé. Il problema è come certe espressioni vengono interpretate e attuate”.

“Come francescani – spiega - abbiamo chiesto una legge che punisca ogni incitamento all’odio e alla discriminazione, basandoci sul punto settimo della Costituzione provvisoria. C’è materia su cui lavorare in senso positivo, per costruire una società veramente tollerante e aperta a tutti”.

Quanto alla possibilità reale di evangelizzare, il parroco francescano non ha dubbi: “Dobbiamo essere creativi, uscire dagli schemi rigidi di evangelizzazione e trovare modalità nuove. Come ci ha insegnato san Francesco, evangelizzare significa anzitutto vivere il Vangelo ed essere un segno per chi ci sta intorno”.

Marinella Bandini

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