Orazione Funebre per il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II | Custodia Terrae Sanctae

Orazione Funebre per il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II

6 Aprile 2005

Carissimi fratelli e sorelle,

l’occasione che ci vede oggi qui riuniti è triste, perché la Chiesa ha perso il suo membro più eminente e noi tutti, credo, ci sentiamo oggi un po’ orfani. Eppure questa tristezza non è assoluta, anzi: siamo convinti che la Gerusalemme celeste ha accolto un nuovo cittadino. Tutti noi ora siamo scossi per questo momento così particolare della vita della Chiesa, ma anche gioiosi, perché sorretti dalla certezza che in Cristo risorto, nostra speranza e nostra certezza, Giovanni Paolo II vive, perché è risorto con Cristo. Per questo celebriamo qui, nella Basilica della Resurrezione, la messa della Resurrezione, perché se ci rattrista la sua morte, siamo comunque confortati dalla Sua resurrezione.

Di questo pontefice si potrebbero dire tante cose: è stato un gigante nella storia degli ultimi anni. È stato l’uomo dei primati: uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa, un numero incredibile di viaggi apostolici, di documenti emanati, di fedeli elevati alla gloria degli altari…

È stato il Papa che ha proseguito con vigore nell’attuare quel profondo rinnovamento della Chiesa avviato dal Concilio Vaticano II. È stato il difensore della inalienabile dignità della persona umana contro ogni tirannide, contro ogni sfruttamento, contro ogni abuso. Il difensore dell’immagine di Dio in ogni essere umano. In America Latina, in Africa, nella sua Europa lacerata da conflitti fratricidi, in Asia e in particolare nel nostro Medio Oriente egli è stato la voce libera, autorevole e forte dei più deboli, degli ultimi, dei poveri e dei disprezzati. Si è consegnato totalmente a Cristo e alla sua Chiesa, spendendo tutte le sue energie nell’annuncio coerente e senza compromessi del vangelo.

Soprattutto è stato il Papa dei gesti profetici. A noi piace ricordarne alcuni in particolare, quelli che più direttamente riguardano la Chiesa di Terra Santa.

Il primo è l’incontro tra tutti i capi religiosi del mondo in Assisi. Il Papa venuto dall’Est infatti aveva assunto come uno degli impegni prioritari del suo pontificato il dialogo tra le religioni. Nei suoi numerosi viaggi ha sempre voluto incontrare i capi religiosi locali di qualunque fede, insistendo nell’affermare che è compito di tutte le religioni lavorare per la costruzione della Pace.

E chi più di noi può sentire viva questa preoccupazione? Noi qui a Gerusalemme viviamo non solo nella reciproca collaborazione, ma anzi viviamo insieme agli amici ebrei e musulmani e con i fratelli delle Chiese d’Oriente, con i quali condividiamo insieme i Luoghi Santi della Redenzione. Risentiamo le parole del Papa, in occasione del suo ultimo incontro con il Patriarca ecumenico Bartolomeo a Roma il 29 giugno u.s.: "Ut unum sint! Ecco da dove scaturisce il nostro impegno di comunione, in risposta all’ardente desiderio di Cristo. Non si tratta di un vago sentimento di buon vicinato, ma del legame indissolubile della fede teologale per cui siamo destinati non alla separazione, ma alla comunione. (…) Che la coscienza non ci rimproveri di aver omesso dei passi, di aver tralasciato delle opportunità, di non aver tentato tutte le strade".

La presenza a questa celebrazione di fratelli ebrei e musulmani, ai quali siamo grati della loro presenza, oltre che dei fratelli cristiani di altre confessioni, è testimonianza dell’opera instancabile di questo pontefice per il dialogo interreligioso ed ecumenico e della necessità per tutti noi di proseguire su questo cammino, da lui così autorevolmente e coraggiosamente indicato, per la costruzione di una mentalità di pace e di rispetto. Tutti i credenti, ebrei musulmani e cristiani, devono essere innanzitutto testimoni credibili di speranza, perché convinti della bontà di Dio su tutti gli uomini. Senza speranza non si vive. Dobbiamo essere testimoni e custodi responsabili della speranza. Particolare, in questo contesto, la sua attenzione alle religioni monoteiste.

Storica è stata la prima visita di un pontefice nella Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986. Per noi che viviamo nel contesto ebraico quel gesto ha ancora un significato che difficilmente si può sminuire. Con quel gesto infatti egli ha inaugurato nuove relazioni di amicizia e di reciproca conoscenza e rispetto tra la Chiesa cattolica e la fede ebraica, nella quale il Cristianesimo affonda le radici e senza la quale non sarebbe comprensibile l’evento Gesù di Nazareth. Il Papa allora ringraziava il Signore per la "ritrovata fratellanza e la profonda intesa tra la Chiesa e l’Ebraismo" e auspicava che fossero "superati i vecchi pregiudizi e si facesse spazio al riconoscimento sempre più pieno di quel vincolo e di quel comune patrimonio spirituale che esiste tra Ebrei e Cristiani." "La religione ebraica – continuava il Pontefice – non ci è "estrinseca", ma in certo qual modo è "intrinseca" alla nostra religione".

Ma anche con il mondo islamico il papa ha saputo compiere gesti profetici, come ad esempio la sua visita alla grande moschea Omayyade di Damasco, il sei maggio 2001, nella quale ebbe a dire: “È importante che i musulmani e i cristiani continuino a esplorare insieme questioni filosofiche e teologiche, al fine di ottenere una conoscenza più obiettiva e completa delle credenze religiose dell'altro. Una migliore comprensione reciproca certamente porterà, a livello pratico, a un modo nuovo di presentare le nostre due religioni, non in opposizione, come è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione per il bene della famiglia umana.

Il dialogo interreligioso è più efficace quando nasce dall'esperienza del "vivere gli uni con gli altri", ogni giorno, in seno alla stessa comunità e cultura”.

Non posso certamente concludere questo breve e comunque inadeguato ricordo di Giovanni Paolo II senza far menzione del pellegrinaggio da lui compiuto qui in Terra Santa dal 20 al 26 marzo, in occasione del grande Giubileo dell’anno 2000. I gesti compiuti in quello storico pellegrinaggio costituiscono una pietra miliare nel cammino della Chiesa nel suo rapporto con l’Ebraismo e l’Islam. Le storiche visite al muro del pianto e alle moschee sono ancora impresse nella nostra memoria.

Nel suo pellegrinaggio il Santo Padre ebbe a dire: "Per tutti noi Gerusalemme, come indica il nome, è la Città della Pace". E in quante circostanze il Papa ha alzato la sua voce per invocare il dono della pace, per questa città, per la Terra Santa, per il Medio Oriente, per il mondo intero! La Terra Santa, in particolare, è sempre stata in cima ai suoi pensieri e alle sue preoccupazioni. Pensiamo a quanti Angelus ha dedicato a questo tema e all’indimenticabile magistero sulla pace in occasione dei Messaggi per la giornata mondiale per la pace!

Desidero citarne uno particolarmente significativo, quello dell’anno 2002, Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: “Meditando sul tema del perdono, non si possono non ricordare alcune tragiche situazioni di conflitto, che da troppo tempo alimentano odi profondi e laceranti, con la conseguente spirale inarrestabile di tragedie personali e collettive. Mi riferisco, in particolare, a quanto avviene nella Terra Santa, luogo benedetto e sacro dell'incontro di Dio con gli uomini, luogo della vita, morte e risurrezione di Gesù, il Principe della pace”. Come sono ancora attuali quelle parole, e com’è ancora così difficile perdonarsi in questa nostra amata Terra!

E proprio in questo nostro contesto, lacerato da odi e divisioni, da perenne tensione, da rancore e soprattutto da paura, la voce di Giovanni Paolo II si è sempre levata con autorevolezza per invitare tutte le parti ad incontrarsi, a superare le reciproche ostilità, ma soprattutto ad abbandonare ogni forma di violenza, dalla quale può derivare solo altra violenza.

C’è un episodio di quello storico pellegrinaggio dell’anno giubilare che mi torna alla memoria: il giorno della partenza il Santo Padre con una decisione del tutto inaspettata, chiese di tornare qui, in questa basilica, per poter sostare in solitaria preghiera sulla roccia del Calvario. Questo episodio mi è tornato alla mente perché credo sia emblematico di tutto il pontificato di Giovanni Paolo II. Un pontificato vissuto all’ombra della Croce: chi di noi, guardandolo in questi ultimi anni non avrà sentito dentro l’eco della profezia di Isaia, che ascoltiamo ogni venerdì durante la Via Crucis: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire…". Così appariva ormai Giovanni Paolo II: icona di Colui che "con la sua santa Croce ha redento il mondo". Ma pur nel disfacimento fisico il Santo Padre continuava ad essere nel mondo testimone della Risurrezione di Cristo e del suo significato liberante per ogni uomo. Del resto proprio qui, cinque anni fa’, il Papa aveva detto: "La Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo è il segno che l’eterno Padre è fedele alla sua promessa e fa nascere nuova vita dalla morte. (…) La Buona Novella della Risurrezione non può mai essere scissa dal mistero della Croce".

Questa fede che il Santo Padre proclamava è la nostra stessa fede. E se ora noi tutti siamo rattristati dalla scomparsa di questa eminente figura della Chiesa di Cristo, siamo tuttavia serenamente convinti che “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui”. Sappiamo infatti “che egli vive, vive per Dio” (Rom. 3, 8.10).

Il profeta Isaia oggi proclama: “Il Signore … strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto… in Lui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza. Poiché la mano del Signore si è posata su questo monte” (Is. 25, 7. 9-10), cioè Gerusalemme.

Si, qui, su questo monte, a Gerusalemme, in questo luogo, abbiamo sperimentato la sua salvezza, qui egli ha cancellato la morte per sempre ed ha asciugato ogni lacrima. L’angelo nel Vangelo lo ribadisce ancora: “Non abbiate paura, voi! … È risorto, come aveva detto… andate ad annunziare ai miei fratelli” (Mt 28, 5. 10).

Giovanni Paolo II lascia a noi abitanti della Terra Santa questa eredità: Non abbiate paura! È quanto proclamato dal Vangelo appena ascoltato. Ed è anche il motivo centrale del suo Magistero. Questa parola viene ora rivolta a noi, abitanti di questo monte, Gerusalemme, quale stimolo per il nostro agire: non abbiamo paura di esultare per la sua salvezza e di testimoniare ai nostri fratelli l’amore che abbraccia tutti i popoli, abbatte ogni barriera, vince ogni inimicizia e supera ogni divisione.

Voglia la Madre del Signore, a cui il Papa era consacrato con il motto Totus tuus, accogliere questo suo figlio nella gioia dei santi e donare alla Chiesa un nuovo timoniere che sappia condurla sempre più avanti lungo le rotte tracciate da Giovanni Paolo II.

Fra Pierbattista Pizzaballa ofm
Custode di Terra Santa