Conventi
Santuari
Contatti
Faq
Dona ora

La provocazione dei martiri - The provocation of the martyrs - استفزاز الشهداء

Messa di ringraziamento per la canonizzazione dei Martiri di Damasco

2024-10-27

Gerusalemme - Chiesa di San Salvatore

Sap 3,1-9; Ps 123 (124),2-3; 4-5; 7-8; 1Pt 4,13-19; Lc 12,4-9

Beatitudine, Eccellenze, carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia Pace!

1. Domenica scorsa abbiamo avuto la grazia di partecipare alla canonizzazione degli otto frati minori e dei tre fratelli maroniti che subirono il martirio a Bab Touma, in Damasco, tra il 9 e il 10 luglio del 1860. Ricordiamo che questi 11 sono in realtà i rappresentanti delle decine di migliaia di cristiani che nello stesso anno subirono il martirio in Libano e in Siria, e preferirono morire piuttosto che rinnegare Gesù Cristo.

Ora desidero condividere con voi tre pensieri:

  • l’importanza di saper ringraziare per questo dono;
  • ciò che assolutamente dobbiamo evitare in un’occasione come questa;
  • ciò che possiamo imparare dall’esempio dei martiri.

2. Anzitutto è importante che sappiamo ringraziare per il dono che ci è stato fatto. I martiri sono i più perfetti imitatori di nostro Signore Gesù Cristo e sono perciò stesso il modello più alto di vita cristiana pienamente realizzata. Martire è una parola greca e significa testimone. È la parola con la quale Gesù definisce se stesso davanti a Pilato, quando dice di essere venuto per rendere testimonianza alla verità (“εἰς τοῦτο ἐλήλυθα εἰς τὸν κόσμον ἵνα μαρτυρήσω τῇ ἀληθείᾳ” cfr. Gv 18,37). E all’inizio dell’Apocalisse Gesù Cristo viene presentato come “il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra…” (Ap 1,5).

3. Parlando poi dei suoi discepoli Gesù li presenta come suoi testimoni/martiri. Nei discorsi dell’ultima cena Gesù dice ai suoi: “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà su di me; e anche voi testimoniate, perché siete con me fin dal principio” (Gv 15,26-27) Dopo la risurrezione, prima di ascendere al cielo, Gesù nuovamente dice ai discepoli: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e sarete miei testimoni (μάρτυρες) a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). E di nuovo nell’Apocalisse, coloro che hanno vinto l’Accusatore (cioè il Satana avversario del piano di Dio) lo hanno fatto “grazie al sangue dell’Agnello e alla testimonianza del loro martirio (διὰ τὸν λόγον τῆς μαρτυρίας αὐτῶν)” (Ap 12,11); essi sono coloro che hanno preferito morire piuttosto che preservare con amore egoistico la propria vita rinnegando Gesù Cristo e accusando i propri fratelli.

4. È perciò importante gioire e ringraziare, perché questi nostri fratelli appartengono al numero degli autentici discepoli e testimoni di Gesù. Essi hanno vissuto fino in fondo e ci dimostrano che è possibile vivere fino in fondo un pieno e fiducioso abbandono in Dio, anche in mezzo a situazioni difficili, di ingiusta persecuzione e di sofferenza innocente. Essi, hanno incarnato la pagina evangelica che abbiamo proclamato e ci dimostrano che è possibile incarnarla: “Non abbiate paura: valete più di molti passeri! Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio” (Lc 12,7-9). A questa pagina fa riferimento anche san Francesco al termine del capitolo XVI della Regola non bollata, quando ci parla dell’orizzonte del martirio come normale per coloro che si professano cristiani e per coloro che sono mandati a vivere in mezzo a gente di altra religione. I martiri ci dicono che vivere e amare con questa radicalità è possibile, non è idealismo, non è utopia. Anzi, amare fino a dare la vita è il modo più autentico di essere cristiani.

5. Passando al secondo punto ci chiediamo: cosa dobbiamo assolutamente evitare in una celebrazione come questa? Certamente ogni forma di trionfalismo istituzionale che striderebbe con la drammaticità del martirio. Ma c’è qualcosa che dobbiamo evitare anche a livello personale, ed è il vantarsi del martirio degli altri.

Giordano da Giano (uno dei biografi di san Francesco) racconta che dopo aver ricevuto la notizia del martirio dei primi cinque frati mandati in Marocco, in un momento di euforia, i nostri confratelli di otto secoli fa si esaltano e pensano di potersi gloriare a causa dei confratelli martiri. Allora Francesco reagisce con parole molto dure: «Ognuno si glori del proprio martirio e non di quello degli altri» (Giordano, 8: FF 2330). Successivamente, in una delle sue “Ammonizioni”, citando il brano che abbiamo letto come seconda lettura, approfondisce questa riflessione e ci dice: “Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nella vergogna e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere, e noi vogliamo ricevere gloria e onore col solo raccontarle” (Amm VI: FF 155). Potremmo parafrasare: “I martiri hanno seguito Gesù fino a dare la vita assieme a lui e per lui; perciò, è grande vergogna per noi servi di Dio, che i martiri abbiano dato la vita e noi vogliamo farci belli raccontando la loro storia e sventolando la loro bandiera”.

6. Venendo all’ultimo punto della nostra riflessione dobbiamo allora chiederci che cosa possiamo imparare dall’esempio dei martiri. È una domanda molto importante e attuale, perché noi viviamo in un contesto molto simile a quello in cui anch’essi sono vissuti.

Di fronte alla guerra, di fronte alle pressioni sociali che subiamo, di fronte all’incertezza del domani potremmo essere tentati di lasciare la missione, o di lasciare questa Terra in cui il Signore ci ha chiamato a vivere la nostra vocazione e missione, una terra che sembra non conoscere pace e sicurezza, una terra nella quale da secoli la nostra stessa testimonianza sembra spesso cadere nel vuoto e non trovare accoglienza.

Papa Paolo VI, durante un’altra canonizzazione, quella dei santi Nicola Tavelić e compagni ebbe a dire parole molto forti: “La storia diventa maestra. Pone un confronto fra queste lontane figure di frati idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della fede: martiri; e la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e che, priva di principii superiori ed interiori, trova logico il conformismo alle idee correnti, alla psicologia risultante da un’alienazione collettiva alla ricerca e al servizio dei soli beni temporali. […] essi (i martiri) quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la moda” (Paolo VI, 21.06.1970).

7. Forse non saremo chiamati a testimoniare fino al punto di essere uccisi, ma saremo certamente chiamati a testimoniare dando la vita e fino al termine della nostra vita. Saremo chiamati a lasciar perdere la preoccupazione per noi stessi, per testimoniare invece la nostra fedeltà e il nostro amore per Gesù Cristo e per il suo vangelo ma anche il nostro amore gratuito per la gente in mezzo alla quale ci troviamo a vivere. Non esiste solo il martirio del sangue, esiste anche il martirio della vita quotidiana, che si realizza nel farsi piccoli e mettersi a servizio di tutti per amore di Dio. È questo che san Francesco ci chiede come primo modo di evangelizzare (cfr. Regola non bollata, XVI).

8. È a questa testimonianza della vita che ci ha esortato lo stesso papa Francesco durante l’omelia per la canonizzazione degli 11 martiri di Damasco: “A questo dobbiamo anelare: non al potere, ma al servizio. Il servizio è lo stile di vita cristiano… Il servizio nasce dall’amore e l’amore non conosce confini, non fa calcoli, si spende e si dona. L’amore non si limita a produrre per portare risultati, non è una prestazione occasionale…

Quando impariamo a servire, ogni nostro gesto di attenzione e di cura, ogni espressione di tenerezza, ogni opera di misericordia diventano un riflesso dell’amore di Dio. E così tutti noi - e ognuno di noi - continuiamo l’opera di Gesù nel mondo.

Questi nuovi santi hanno vissuto lo stile di Gesù: il servizio… essi si sono fatti servi dei fratelli, creativi nel fare il bene, saldi nelle difficoltà, generosi fino alla fine.

Chiediamo fiduciosi la loro intercessione, perché anche noi possiamo seguire il Cristo, seguirlo nel servizio e diventare testimoni di speranza per il mondo” (papa Francesco, Omelia 24-10-20).

----------------------------------------------------------

Your Beatitude, Your Excellencies, dear brothers and sisters, May the Lord give you His peace!

1. Last Sunday we had the grace of participating in the canonization of the eight Friars Minor and three Maronite brothers who suffered martyrdom in Bab Touma, Damascus, between the 9th and 10th July 1860. Let us remember that these 11 are actually the representatives of the tens of thousands of Christians who in the same year suffered martyrdom in Lebanon and Syria, and preferred to die rather than deny Jesus Christ.

Now I want to share three thoughts with you:

  • the importance of giving thanks for this gift;
  • what we absolutely should avoid on an occasion like this;
  • what we can learn from the example of the martyrs.

2. First of all, it is important that we give thanks for the gift that has been given to us. The martyrs are the most perfect imitators of our Lord Jesus Christ and are therefore themselves the highest model of fully realized Christian life. Martyr is a Greek word and means witness. It is the word with which Jesus defines Himself in front of Pilate, when He says that He has come to bear witness to the truth (“εἰς τοῦτο ἐλήλυθα εἰς τὸν κόσμον ἵνα μαρτυρήσω τῇ ἀληθείᾳ” cf. Jn 18:37). At the beginning of the Book of Revelation Jesus Christ is presented as “the faithful witness, the firstborn of the dead and the sovereign of the kings of the earth...” (Rev 1:5).

3. Speaking then of His disciples, Jesus presents them as His witnesses/martyrs. In the discourses of the Last Supper Jesus says to His disciples: “When the Advocate comes whom I will send you from the Father, the Spirit of truth that proceeds from the Father, He will testify to me, and you also testify, because you have been with Me from the beginning” (Jn 15:26-27) After the resurrection, before ascending into heaven, Jesus again says to the disciples: “you will receive power when the Holy Spirit comes upon you, and you will be My witnesses (μάρτυρες) in Jerusalem, throughout Judea and Samaria, and to the ends of the earth” (Acts 1:8). Once again in the Apocalypse, those who conquered the Accuser (i.e. Satan, the adversary of God’s plan) did so “by the blood of the Lamb and by the word of their testimony (διὰ τὸν λόγον τῆς μαρτυρίας αὐτῶν)” (Rev 12:11); they are those who preferred to die rather than preserve their lives with selfish love by denying Jesus Christ and accusing their brothers and sisters.

4. It is therefore important to rejoice and give thanks, because these brothers and sisters of ours belong to the number of authentic disciples and witnesses of Jesus. They lived to the end and show us that it is possible to live to the end a full and trusting abandonment to God, even amidst difficult situations, of unjust persecution and innocent suffering. They have embodied the Gospel that we have proclaimed and show us that it is possible to incarnate it: “Do not be afraid. You are worth more than many sparrows. I tell you, everyone who acknowledges Me before others the Son of Man will acknowledge before the angels of God, but whosoever denies Me before others will be denied before the angels of God” (Lk 12:7-9). St. Francis also refers to this page at the end of Chapter XVI of the “Regula non bullata”, when he speaks to us of the horizon of martyrdom as normal for those who profess to be Christians and for those who are sent to live among people of other religions. The martyrs tell us that living and loving with this radicality is possible, it is not idealism, it is not utopia. Indeed, loving to the point of giving one’s life is the most authentic way to be a Christian.

5. Moving on to the second point, we ask ourselves: what should we absolutely avoid in a celebration like this? Certainly any form of institutional triumphalism that would clash with the drama of martyrdom. However, there is something we must also avoid on a personal level, and that is boasting about the martyrdom of others.

Giordano da Giano (one of the biographers of St. Francis) recounts that after receiving the news of the martyrdom of the first five friars sent to Morocco, in a moment of euphoria, our confreres of eight centuries ago exalted themselves and thought they could glory because of their martyred confreres. Then Francis reacted with very harsh words: “Let each one glory in his own martyrdom and not in that of others” (Giordano, 8). Subsequently, in one of his “Admonitions”, quoting the passage we read as the second reading, he deepens this reflection and tells us: “Let us be attentive, all friars, to the Good Shepherd, who endured the passion of the Cross to save His own sheep. The sheep of the Lord have followed Him in tribulation and persecution, shame and hunger, in infirmity and temptation and other things; and on account of these they have received from the Lord everlasting life. Whence we should be greatly ashamed as servants of God, because they did holy deeds but we by reciting them wish to receive glory and honour” (Amm VI). We could paraphrase: “Martyrs followed Jesus to the point of giving their lives together with Him and for Him; therefore, it is great shame for us servants of God that martyrs gave their lives and we want to make ourselves look good by telling their story and waving their flag”.

6. Coming to the last point of our reflection, we must then ask ourselves what we can learn from the example of the martyrs. It is a very important and appropriate question, because we live in a context very similar to the one in which they also lived.

In the face of war, in the face of the social pressures we suffer, in the face of the uncertainty of tomorrow, we may be tempted to leave the mission, or to leave this Land in which the Lord has called us to live our vocation and mission, a land that seems to know no peace and security, a land in which for centuries our own witness has often seemed to fall on deaf ears and not find acceptance.

Pope Paul VI, during another canonization, that of Saints Nicholas Tavelić and companions, had very strong words: “History becomes a teacher. It poses a comparison between these distant figures of idealistic friars, imprudent, but exalted by a positive and enthralling love for Christ and persuaded of the missionary necessity proper to faith: martyrs; and our modern mentality, which hides under a cloak of evolved skepticism, a comfortable and transigent cowardice, and which, lacking superior and interior principles, finds it logical to conform to current ideas, to the psychology resulting from a collective alienation in the search for and service of temporal goods alone. [...] they (the martyrs) almost reproach us for our uncertainty, our easy faithlessness, our relativism, which sometimes prefers fashion to faith” (Paul VI, 21.06.1970).

7. Perhaps we will not be called to bear witness to the point of being killed, but we will certainly be called to bear witness by giving our lives and until the end of our lives. We will be called to let go of concern for ourselves, to witness instead to our fidelity and our love for Jesus Christ and for His Gospel but also our gratuitous love for the people amongst whom we find ourselves living. There is not only the martyrdom of blood, but also the martyrdom of daily life, which is realized in making oneself small and putting oneself at the service of all for love of God. This is what Saint Francis asks of us as the first way of evangelizing (cf. Regula non bullata, XVI).

8. It is to this testimony of life that Pope Francis himself exhorted us during his homily for the canonization of the 11 martyrs of Damascus: “This is what we should yearn for: not power, but service. Service is the Christian way of life... Service is born from love, and love knows no bounds, it makes no calculations, it spends, and it gives. It does not just do things to bring about results, it is not occasional service...

When we learn to serve, our every gesture of attention and care, every expression of tenderness, every work of mercy becomes a reflection of God’s love. So in this way, let all of us – each one of us – continue Jesus’ work in the world.

These new saints lived Jesus’ way: service... they made themselves servants of their brothers and sisters, creative in doing the good, steadfast in difficulties and generous to the end.

We confidently ask their intercession so that we too can follow Christ, follow him in service and become witnesses of hope for the world” (Pope Francis, Homily 24-10-20).


2024

حكمة ٣: ١-٩; مز 123 (124) ، 2-3 ؛ 4-5; 7-8; ١ بط ٤: ١٣-١٩; لو ١٢ : ٤- ٩

  1. صاحب الغبطة، أصحاب السيادة، الإخوة والأخوات الأعزاء، ليمنحكم الرب السلام!

حظينا يوم الأحد الماضي بالمشاركة في إعلان قداسة الإخوة الأصاغر الثمانية والأخوة الموارنة الثلاثة الذين استشهدوا في باب توما، قي دمشق، بين 9 و 10 تموز/يوليو 1860. دعونا نتذكر أن هؤلاء ال 11 هم في الواقع يمثلون عشرات آلاف المسيحيين الذين استشهدوا في نفس العام في كل من لبنان وسوريا، وقد اختاروا الموت على إنكار أيمانهم بيسوع المسيح.

اسمحوا لي أن أشارككم ثلاث أفكار:

  • أهمية أن نعرف كيف نقدم آيات الشكر على هذه الهدية؛
  • ما يجب أن نتجنبه تماما في مناسبات مثل هذه.
  • وما يمكن أن نتعلمه من المثال الذي يقدمه الشهداء.
  1. بادئ ذي بدء، من المهم أن نعرف كيف أن نكون شاكرين على هذه الهدية التي أعطيت لنا. الشهداء هم من يقتدون بصورة أقرب إلى الكمال مثال ربنا يسوع المسيح، وبالتالي هم أعلى نموذج للحياة المسيحية التي تبلغ ملء تحقيق معانيها. الشهيد هي كلمة يونانية وتعني شاهد. إنها الكلمة التي استخدمها يسوع نفسه أمام بيلاطس عن نفسه، عندما قال إنه جاء شاهداً للحق ("قد أتيت إلى العالم لأشهد للحق" راجع يو 18: 37). وفي بداية سفر الرؤيا يتم تقديم يسوع المسيح على أنه "الشاهد الأمين وبكر الأموات وملك ملوك الأرض ..." (رؤيا 1: 5).
  1. يتحدث يسوع عن تلاميذه، ويصنفهم كشهود/شهداء. في عظة العشاء الأخير يقول يسوع لتلاميذه: "ومتى جاء المعزي الذي سارسله انا اليكم من الاب، روح الحق، الذي من عند الاب ينبثق، فهو يشهد ليوتكونون أنتم أيضاً شهوداً لأنكم معي منذ البداية" (يو 15، 26- 27). بعد القيامة، وقبل الصعود إلى السماء، قال يسوع مرة أخرى للتلاميذ: "ستنالون قوة من الروح القدس الذي يحل عليكم، وتكونون لي شهودا في أورشليم وفي كل اليهودية والسامرة وإلى أقاصي الأرض" (أعمال الرسل 1: 8). وأيضاً في سفر الرؤيا، أولئك الذين غلبوا المشتكى (أي الشيطان، مقاوم مخطط الله) فعلوا ذلك "بفضل دم الحمل وشهادة استشهادهم " (رؤيا 12: 11)؛ إنهم أولئك الذين اختاروا الموت بدلا من الحفاظ على حياتهم عبر حب أناني يدفعهم إلى إنكار يسوع المسيح واتهام إخوتهم وأخواتهم.
  1. من المهم إذا أن نفرح ونشكر، لأن إخوتنا وأخواتنا هؤلاء ينتمون إلى مجموعة تلاميذ يسوع الأمينين والشهود الحقيقيين. لقد عاشوا حتى النهاية وأظهروا لنا أنه من الممكن أن نعيش حتى النهاية بالاستسلام الكامل الممتلئ ثقة بالله، حتى في وسط المواقف الصعبة، والاضطهاد الظالم والمعاناة بدون ذنب. لقد جسدوا بحياتهم واستشهادهم مقطع الإنجيل الذي أعلناه وأظهروا لنا أنه من الممكن تحقيقه: "لا تخافوا: أنتم أكثر قيمة من عصافير كثيرة! الحق أقول لكم من يعترف بي أمام الناس، فإن ابن الإنسان يعترف أيضا أمام ملائكة الله. ومن ينكرني أمام الناس سيتم إنكاره أمام ملائكة الله" (لو 12، 7- 9). يشير القديس فرنسيس أيضا إلى هذه الصفحة في نهاية الفصل السادس عشر من القانون غير المصادق عليه، عندما يحدثنا عن الاستشهاد كنهاية طبيعية لأولئك الذين يعلنون أنهم مسيحيون والذين أرسلوا للعيش بين أبناء الديانات الأخرى. يعلمنا الشهداء أنه من الممكن أن نعيش وأن نحب بهذه الصورة الأصولية، هذا ليس تعليماً مثالياً حالما وليس يوتوبيا. في الواقع، إن المحبة إلى حد بذل المرء لحياته هي الطريقة الأكثر أصالة ليكون المرء مسيحيا.
  1. بالانتقال إلى النقطة الثانية، نسأل أنفسنا: ما الذي يجب أن نتجنبه تماما في احتفال كهذا؟ بالتأكيد أي شكل من أشكال الانتصار الذي من شأنه أن يتعارض مع مأساة الشهادة. ولكن هناك شيء يجب أن نتجنبه أيضا على المستوى الشخصي، وهو التفاخر باستشهاد الآخرين.

يروي جيوردانو دا جيانو (أحد كتاب سيرة القديس فرنسيس) أنه بعد تلقي خبر استشهاد الرهبان الخمسة الأوائل الذين أرسلوا إلى المغرب، في لحظة من النشوة، شعر رفاقنا منذ ثمانية قرون أنهم يستطيعون التفاخر بالمجد نتيجة استشهاد رفاقهم. فما كان من فرنسيس إلا أن وبخهم بكلمات قاسية جدا: "ليمجد كل واحد في استشهاده وليس في استشهاد الآخرين" (جيوردانو، 8: صص. 2330). بعد ذلك، في إحدى "تحذيراته"، مقتبسا المقطع الذي نقرأه في القراءة الثانية، يعمق هذا التأمل ويقول لنا: "لننظر بانتباه، أيها الإخوة جميعا، إلى الراعي الصالح، الذي أيد آلام الصليب لكي يخلص خرافه. لقد تبعته خراف الرب في الضيق والاضطهاد ، في الخزي والجو ، في المرض والتجربة وفي أشياء أخرى من هذا القبيل. ولهذا السبب نالوا الحياة الأبدية من الرب. لذلك من العار الكبير لنا نحن خدام الله، أن القديسين قد قاموا بالأعمال، ونريد أن ننال المجد والكرامة بمجرد روايتها " (آم السادس: صص. 155). يمكننا إعادة صياغة هذا الاقتباس: "لقد تبع الشهداء يسوع حتى بذلوا حياتهم معه ومن أجله. لذلك، من العار الكبير لنا نحن عباد الله، أن الشهداء ضحوا بحياتهم ونريد أن نجعل أنفسنا نبدو بصورة جميلة من خلال سرد قصتهم والتلويح برايتهم".

  1. عندما نصل إلى النقطة الأخيرة من تفكيرنا ، يجب أن نسأل أنفسنا ما الذي يمكن أن نتعلمه من مثال الشهداء. إنه سؤال مهم للغاية وفي الوقت المناسب ، لأننا نعيش في سياق مشابه جدا للسياق الذي عاشوا فيه أيضا.

في مواجهة الحرب، وأمام الضغوط الاجتماعية التي نعانيها، وفي مواجهة عدم اليقين في المستقبل، قد نتعرض لتجربة التخلي عن الرسالة، أو أن نغادر هذه الأرض التي دعانا الرب إليها لنعيش دعوتنا ورسالتنا، أرض يبدو أنها لا تعرف السلام والأمن، أرض بدا فيها أن شهادتنا لقرون غالبا ما تقع على آذان صماء ولا تجد قبولا.

كان للبابا بولس السادس، خلال حفل تقديس آخر، تقديس القديسين نيكولاس تافيليتش ورفاقه، كلمات قوية جدا: "يصبح التاريخ أفضل معلّم. إنه يقارن بين هذه الشخصيات البعيدة من الرهبان النموذجيين، غير الحكماء، الذين دفعتهم المحبة الإيجابية والسامية تجاه المسيح وقناعتهم بواجب التبشير لنشر الإيمان: أي يقارن بين هؤلاء الشهداء من ناحية، وبين عقليتنا الحديثة، التي تختبئ تحت عباءة من الشك المتطور، جبن مريح وعابر، خالية من المبادئ العليا والداخلية، فتجد أنه من المنطقي أن تتوافق مع الأفكار الحالية، مع علم النفس الناتج عن الاغتراب الجماعي وتجد في السعي خلف الخيرات الزمنية وحدها وخدمتها. […] لذلك فإنّ الشهداء يكادوا يلوموننا على عدم يقيننا، وتقلبنا السهل، ونسبيتنا، التي تفضل أحيانا الموضة على الإيمان" (بولس السادس، 1970.06.21).

  1. ربما لن نكون مدعوين للشهادة إلى حد الموت، لكننا بالتأكيد سنكون مدعوين للشهادة من خلال بذل حياتنا وحتى نهاية حياتنا. إننا مدعوون إلى التخلي عن الاهتمام بأنفسنا، وإلى أن نشهد بدلا من ذلك لأمانتنا ومحبتنا ليسوع المسيح وإنجيله، ولكن أيضا محبتنا المجانية للأشخاص الذين نجد أنفسنا نعيش بينهم. ليس هناك فقط استشهاد الدم، بل هناك أيضا استشهاد الحياة اليومية، الذي يتحقق في جعل الذات صغيرة ووضع أنفسنا في خدمة الجميع من أجل محبة الله. هذا ما يطلبه منا القديس فرنسيس كطريق أول للتبشير.

إن شهادة الحياة هذه هي التي حثنا عليها البابا فرنسيس نفسه خلال عظته في حفل إعلان قداسة شهداء دمشق ال 11: "هذا ما يجب أن نتوق إليه: ليس للسلطة بل للخدمة. الخدمة هي طريق الحياة المسيحية ... تولد الخدمة من الحب والحب لا يعرف حدودا، ولا يقوم بالحسابات، بل يتم بذله وإعطاؤه. الحب لا يقتصر على الإنتاج لتحقيق النتائج ، إنه ليس أداء عرضيا ...

عندما نتعلم أن نخدم، تصبح كل بادرة اهتمام ورعاية، وكل تعبير عن الحنان، وكل عمل رحمة انعكاسا لمحبة الله. وهكذا نواصل جميعا - وكل واحد منا - عمل يسوع في العالم.

عاش هؤلاء القديسون الجدد أسلوب يسوع: الخدمة ... لقد أصبحوا خداما لإخوتهم وأخواتهم، مبدعين في فعل الخير، حازمين في الصعوبات، كرماء حتى النهاية.

لنطلب بثقة شفاعتهم، حتى نتمكن نحن أيضا من اتباع المسيح، واتباعه في الخدمة، ونصبح شهودا للرجاء للعالم" (البابا فرنسيس، عظة 24-10-20).

< Torna a tutti i Documenti del Custode
Rimaniamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per rimanere aggiornato

Subscription Form IT

@custodiaterraesanctae

© 2024 Custodia Terrae Sanctae | P.IVA: 01137691000 e CF: 02937380588 | Privacy Policy - Cookie Policy
magnifiercrosschevron-down