Carissime sorelle e fratelli,
pace a voi!
Celebriamo oggi la memoria luminosa di Santa Elisabetta d’Ungheria, una donna che ha saputo vivere il Vangelo nella concretezza dell’amore, nella povertà, nel servizio e nella compassione verso i più piccoli. Una santa francescana modello di tanti battezzati che vivono nella vocazione laicale la spiritualità e il carisma francescano.
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci conduce proprio al cuore del mistero di questa santa: Dio si fa presente nei poveri, e chi li ama, Lo ama davvero.
Il libro del Siracide ci presenta la figura della donna saggia, la cui forza nasce dal timore del Signore, dalla fedeltà e dalla bontà. È un ritratto che trova in Elisabetta un compimento mirabile: regina e madre, sposa e vedova, ma soprattutto discepola di Cristo povero.
Quando tutto le fu tolto – ricchezze, onori, sicurezza – Elisabetta rimase salda nella fede. Non si è lasciata amareggiare dalla sofferenza, sopraffare dal lamento, ma ha saputo trasformare ogni prova in un’offerta d’amore. Ha scoperto, come ci ricorda San Paolo, che la vera ricchezza non è accumulare ma servire, non dominare ma prendersi cura, non trattenere ma donare.
Nel Vangelo, Gesù ci parla del giudizio finale: “Ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato…”. Queste parole sono la chiave della vita di Elisabetta e di tanti santi che hanno fatto della carità il cuore della loro missione.
In ogni affamato, in ogni malato, in ogni persona ferita, Cristo è presente. Elisabetta ha saputo riconoscere questo volto: si racconta che, quando portava il pane ai poveri e fu fermata dai servi del marito, il pane nel suo grembiule si trasformò in rose. Ma la vera meraviglia non fu quel miracolo, bensì gli occhi del cuore che avevano imparato a vedere e riconoscere Gesù nei poveri.
Oggi, mentre celebriamo questa festa, il nostro pensiero riconoscente va anche a voi, Suore Francescane di Santa Elisabetta, che qui in Terra Santa continuate la missione di servizio semplice e gioioso. La vostra presenza, discreta e fedele, è un segno del Vangelo vissuto con purezza e gratuità.
Desidero ricordare con ammirazione e rispetto i vostri fondatori, madre Francesca Casci e don Giuseppe Marchi, che, pur avendo conosciuto la prova dell’allontanamento dall’Istituto che avevano dato alla luce, non hanno mai smesso di servire, di amare, di donarsi. Nelle lettere di madre Francesca, quando ormai viveva fuori dall’Istituto presso il Monastero delle Francescane di Citerna (PG), non troviamo mai una parola di lamento, di risentimento o di accusa. Sempre e soltanto parole evangeliche di incoraggiamento. Questo atteggiamento è segno che non hanno servito se stessi, ma Cristo, e questo li ha resi liberi. Hanno amato senza possedere, hanno edificato senza reclamare, hanno seminato senza chiedere di raccogliere.
La loro vita è un messaggio potente per la Chiesa di oggi e per questa Terra: chi serve il Signore non perde nulla, anche quando sembra perdere tutto.
La vostra vita, care sorelle, è un Vangelo silenzioso. Nei vostri gesti quotidiani – nel curare, accogliere, accompagnare, consolare – continua la presenza viva di Cristo servo. E voi lo fate con letizia, quella gioia francescana che non nasce dal possedere, ma dal sapere che Dio è vicino, che ogni povero è un tabernacolo del suo amore.
Nel mondo segnato dalla fretta, dall’indifferenza e dall’egoismo, la vostra fedeltà e la vostra serenità diventano una testimonianza profetica.
Il vostro modo di servire ci ricorda che la santità non è un’idea, ma una presenza che si china, una mano che si tende, un cuore che non smette di sperare.
Oggi rendiamo grazie al Signore per Santa Elisabetta, per i vostri fondatori, e per ciascuna di voi. Ringraziamo per la vostra presenza in Terra Santa, per il vostro servizio alla Custodia, per il vostro amore gratuito, per la luce che portate nei conventi e nei cuori.
Che la vostra Santa Patrona vi accompagni sempre, vi insegni a riconoscere Cristo nei poveri e nei fratelli, e vi custodisca nella gioia semplice e luminosa di chi sa che, servendo, si incontra Dio.
