Ap 7,9-17; Sal 23; Lc 9,23-26
Eccellenze, carissime sorelle e carissimi fratelli, il Signore vi dia Pace!
1. “Non posso abbandonare le mie pecorelle; preferisco morire con loro, se è necessario” (Positio, t. III, p. 36). In questa frase del beato Salvatore Lilli c’è il suo temperamento marsicano, c’è la sua vocazione francescana, c’è il suo zelo missionario.
Nato in tempi difficili in mezzo a queste montagne, Salvatore ha certamente assimilato fin da bambino lo spirito di sacrificio che caratterizza la gente di montagna, ha imparato a non spaventarsi davanti ai percorsi in salita, ha sperimentato che nel cammino della vita bisogna saper stringere i denti se si vuole raggiungere qualche meta significativa.
La sua stessa vocazione francescana è stata messa subito alla prova, perché quando lui sentì la chiamata a seguire le orme di Cristo sull’esempio di san Francesco, nell’Italia piemontese era il tempo delle soppressioni degli Ordini religiosi, e così per poter essere frate dovette lasciare il suo Paese e venire in Terra Santa.
Il suo zelo missionario si accrebbe poi attraverso l’esperienza concreta della missione e l’obbedienza che gli fu assegnata, ancora giovane frate, di andare nel territorio chiamato Armenia Minore, che si trovava e si trova nell’attuale Turchia. Era una destinazione che portava in sé la necessità di imparare nuove lingue, la disponibilità a servire i più poveri ed emarginati, l’orizzonte del martirio.
2. Per ogni francescano di Terra Santa la prospettiva missionaria è tracciata fin dal principio dall’esperienza stessa di Francesco d’Assisi, che dopo il suo pellegrinaggio Oltremare (1219-1220) e il suo incontro col Sultano, volle dare ai frati del nostro Ordine alcune linee di comportamento nel capitolo XVI della Regola non bollata. Francesco ci ricorda anzitutto il vangelo della missione: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10,16). Poi ci insegna che ci sono due modi di evangelizzare: il primo è legato alla testimonianza della vita, una testimonianza pacifica, a servizio di tutti per amore di Dio e con un’identità cristiana chiara; il secondo – che si attua quando il Signore ce ne offre la possibilità – consiste nell’annunciare il Vangelo e nell’amministrare i sacramenti, tenendo però sempre davanti ai propri occhi l’orizzonte del martirio.
3. Salvatore Lilli ha vissuto tutti e tre i passaggi suggeriti dalla Regola: quando nel settembre del 1890 scoppia il colera nel territorio della sua missione, Salvatore non si preoccupa della sua incolumità fisica e non teme il contagio ma si dedica alla cura degli ammalati, finché l’epidemia finisce; negli anni tra il 1881 e il 1895 si dedica all’evangelizzazione, all’amministrazione dei sacramenti e alla formazione cristiana per far crescere la piccola comunità armena di Maràch e Mujiuk-Derèsi; il 22 novembre del 1895 viene catturato assieme a sette cristiani armeni (dei quali conosciamo anche i nomi) e assieme vengono colpiti dalla baionette dei soldati, cosparsi di petrolio e bruciati mentre sono ancora vivi.
4. Quando riflettiamo sul mistero e sul dono del martirio, risultano particolarmente significative proprio le parole con le quali Francesco descrive il martirio ai suoi frati, sono parole che contengono la citazione del Vangelo che abbiamo appena ascoltato: “E tutti i frati, dovunque sono, si ricordino che hanno donato se stessi e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: «Colui che perderà l’anima sua per me, la salverà per la vita eterna»” (Rnb XVI,10-11: FF 45).
L’orizzonte della vita cristiana, l’orizzonte della vita consacrata, l’orizzonte della missione è il martirio. La nostra vita non ci appartiene, l’abbiamo già messa nelle mani del Signore nostro Gesù Cristo aderendo a lui nel battesimo, impegnandoci a seguire le sue orme nella vita consacrata e accogliendo il mandato di annunciare Lui fino ai confini della terra.
Salvatore Lilli e i sette parrocchiani armeni che sono stati martirizzati con lui hanno vissuto la loro vita cristiana dentro questa prospettiva. Nessuno di loro ha cercato una morte violenta, nessuno di loro ha messo in atto provocazioni che potevano attirare su di sé la persecuzione, hanno semplicemente vissuto da Cristiani e questo è stato sufficiente per scatenare l’odio e la persecuzione, fino al martirio.
5. Eccellenze, carissime sorelle e carissimi fratelli, quando parliamo di ciò che ci viene annunciato da Gesù nel Vangelo, quando parliamo del martirio del beato Salvatore e dei suoi compagni noi non parliamo di qualcosa che riguarda il passato ma di qualcosa che riguarda il presente. Non parliamo di qualcosa che riguarda la vita ormai lontana di questo gruppo di uomini uccisi 128 anni fa in Turchia. Non parliamo tanto per dire qualcosa in occasione di una commemorazione della quale si scriverà sui quotidiani locali ma poi scivolerà nel dimenticatoio.
Quando parliamo del martirio del beato Salvatore e dei suoi compagni noi parliamo di qualcosa che è attuale e di qualcosa che ci riguarda in prima persona.
Il solo Giovanni Paolo II ha beatificato 266 martiri del XX secolo. I cristiani uccisi nel 2022 sono stati 5621, quelli rapiti 5.259. E queste sono più o meno le cifre ufficiali annuali di questi ultimi anni. Il martirio è una realtà attuale. Quando io stesso ho chiesto a un confratello, che nel momento di maggiore violenza si trovava nella parte più pericolosa della Siria, se voleva venir via, mi ha risposto con parole simili a quelle del beato Salvatore: “Morire dobbiamo morire comunque, se devo morire preferisco morire accanto alla mia gente. Non voglio essere ricordato come un mercenario, ma come un pastore”.
6. Proprio questi esempi ci fanno scoprire che il martirio è anche una realtà che ci riguarda in prima persona. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II durante l’omelia di beatificazione di Salvatore Lilli e dei suoi sette compagni: “Questo missionario francescano ed i suoi sette fedeli parlano con eloquenza incisiva al mondo di oggi: sono per tutti noi un salutare richiamo alla sostanza del cristianesimo. Quando le circostanze della vita ci pongono di fronte alle scelte fondamentali, fra valori terreni e valori eterni, gli otto Beati Martiri ci insegnano come si vive il Vangelo, anche nelle contingenze più difficili.
Il riconoscere Gesù Cristo come Maestro e Redentore implica l’accettazione piena di tutte le conseguenze che nella vita derivano da tale atto di fede. […]
I nostri beati Martiri hanno vissuto in prima persona le parole rivolte da Gesù ai suoi discepoli: «Chiunque mi renderà testimonianza davanti agli uomini, gli renderò testimonianza davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32)” (3 ottobre 1982).
7. Il beato Salvatore e i suoi compagni, così come i martiri attuali, sono una provocazione per ognuno di noi, sacerdoti, religiosi e laici. Sono una provocazione per la nostra mentalità che cerca la sicurezza a tutti i costi perché abbiamo paura non solo di morire, ma anche di dare la vita. Salvatore e i suoi compagni sono una provocazione per me e mi dicono: se non hai qualcuno per cui dare la vita ti mancherà anche un buon motivo per vivere. Quel qualcuno, per Salvatore e i suoi compagni, così come per i martiri di oggi, ma anche per ciascuno di noi si chiama Gesù Cristo.
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“I cannot forsake my sheep”
Your Excellencies, dear sisters and brothers,
"I cannot forsake my sheep; I prefer to die with them, if necessary" (Positio, t. III, p. 36). In this phrase of Blessed Salvatore Lilli there is his Marsican temperament, there is his Franciscan vocation, and there is his missionary zeal. Born in difficult times in the middle of these mountains of Cappadocia, Salvatore certainly assimilated since his childhood the spirit of sacrifice that characterizes mountain people, he learned not to be frightened by uphill paths, he experienced that in the journey of life you must know how to grit your teeth if you want to reach some significant goal.
His own Franciscan vocation was immediately put to the test, because when he felt the call to follow in Christ's footsteps following the example of St. Francis, in Piedmontese Italy it was the time of the suppression of religious orders, and so in order to be a friar he had to leave his country and go to the Holy Land.
His missionary zeal then increased through the concrete experience of the mission and the obedience that was assigned to him; still a young friar, he was sent to the territory called Armenia Minor, which was and is in present-day Turkey. It was a destination that carried within it the need to learn new languages, the readiness to serve the poorest and most marginalized the horizon of martyrdom.
Francis reminds us first of all of the Gospel of the mission: "Behold, I send you out like sheep amongst wolves. Therefore, be prudent as serpents and simple as doves" (Mt 10:16).
Then he teaches us that there are two ways of evangelizing: the first is linked to the witness of life, a peaceful witness, at the service of all for the love of God and with a clear Christian identity; the second – which takes place when the Lord offers us the possibility – consists in proclaiming the Gospel and administering the Sacraments, whilst always keeping before one's own eyes the horizon of martyrdom.
The horizon of Christian life, the horizon of consecrated life, the horizon of mission is martyrdom. Our life does not belong to us; we have already placed it in the hands of our Lord Jesus Christ by adhering to Him in baptism, committing ourselves to follow in His footsteps in consecrated life and accepting the mandate to proclaim Him to the ends of the earth.
Salvatore Lilli and the seven Armenian parishioners who were martyred with him lived their Christian life within this perspective. None of them sought a violent death, none of them carried out provocations that could attract persecution, they simply lived as Christians and this was enough to unleash hatred and persecution, even to the point of martyrdom.
We are not talking about something about the distant life of this group of men killed 128 years ago in Turkey. We are not speaking so much to say something on the occasion of a commemoration which will be written about in the local newspapers but then will slip into oblivion.
When we are speaking of the martyrdom of Blessed Salvatore and his companions, we are speaking of something that is timely and of something that concerns us personally.
Pope St. John Paul II alone beatified 266 martyrs of the twentieth century. The Christians killed in 2022 were 5621, those kidnapped 5259. These are more or less the official annual figures of recent years.
Martyrdom is a current reality. When I asked a confrere, who at the moment of greatest violence was in the most dangerous part of Syria, if he wanted to leave, he replied with words similar to those of the Blessed Salvatore "To die we must die anyway, if I have to die I prefer to die next to my people. I don't want to be remembered as a mercenary, but as a shepherd."
When the circumstances of life confront us with fundamental choices, between earthly values and eternal values, the eight Blessed Martyrs teach us how to live the Gospel, even in the most difficult contingencies. Recognizing Jesus Christ as Teacher and Redeemer implies full acceptance of all the consequences in life that derive from this act of faith. [...]
Our blessed martyrs lived firsthand Jesus' words to His disciples: «Whosoever bears witness to me before men. I will bear witness to him before My Father who is in heaven» (Mt 10:32)" (3rd October 1982).
That someone, for Salvatore and his Companions, as well as for the martyrs of to-day, and indeed for each of us is called Jesus Christ.