Cenacolo, 24 luglio 2025
Cari fratelli e care sorelle,
il Signore vi doni la sua pace.
Qualche secondo fa, mentre ascoltavamo il Vangelo cantato dal diacono, ho sentito una grande grazia. Perché, come voi sapete, tutte le volte che celebriamo i sacramenti — soprattutto l’Eucaristia — nel momento in cui la Chiesa celebra, scompaiono le coordinate spaziali e temporali, e diventiamo contemporanei del mistero che celebriamo.
Tante volte, nella mia vita, nella celebrazione eucaristica, ho pregato, perché in quel momento eravamo realmente, come comunità, dentro il Cenacolo. Insieme agli Apostoli, con Gesù. Poco fa, ascoltando il Vangelo, ho pensato che qui in Terra Santa — come insegna la Scrittura, e come tutti voi ben sapete — la coordinata spaziale non è astratta: è reale.
E allora ho sentito nel cuore che essere qui, in questo luogo, come comunità cristiana, come fraternità dei Frati Francescani, significa essere realmente contemporanei e partecipi di quell’unico discorso che Gesù fece, secondo l’evangelista Giovanni, proprio qui. In questi metri quadrati. Un discorso in cui raccontava del suo rapporto con il Padre e il dono, per ben cinque volte, il dono dello Spirito Santo.
È una grande grazia. È un pensiero che non avevo mai avuto con tanta chiarezza fino a oggi. E quello che chiedo per me, e spero anche per voi, è di non abituarci mai a questa grazia che ci è data.
E allora, l’evento della Pentecoste, come viene descritto negli Atti degli Apostoli, proprio qui nel Cenacolo, richiama — secondo gli studiosi — l’epifania divina sul Monte Sinai. Ci sono gli stessi elementi: i tuoni, il vento impetuoso, il fuoco, il fragore.
E davanti a noi, qui in questo luogo, su questo colle gerosolimitano, il Monte Sion, il Cenacolo diventa una nuova immagine del Sinai.
Ma la realtà del Sinai non è più geografica, non è più solo un luogo fisico: qui diventa spiritualmente interiore.
Si tratta, allora, di un evento che segna una nuova alleanza, una nuova irruzione di Dio nella storia degli uomini, dentro il cuore dell’uomo.
La frase centrale del racconto degli Atti degli Apostoli è questa:
“Tutti furono pieni di Spirito Santo.”
La nuova alleanza — così tanto attesa dal popolo, così tanto annunciata dai profeti (“vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo...”) — qui si compie.
È una nuova, e possiamo dire eterna, alleanza.
Non più una legge, ma l’irruzione dello Spirito. Potremmo dire: l’irruzione di Dio stesso nella vita e nel cuore di ogni uomo.
Come ci ha ricordato Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato:
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola; il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.”
Da questa prima esperienza dello Spirito, avvenuta proprio qui, scaturisce un segno particolare che l’evangelista Luca descrive con le parole:
“Parlavano in altre lingue.”
Il segno di questa irruzione di Dio nel cuore dell’uomo è proprio la capacità di parlare in altre lingue, cioè di comprendersi.
La lunga lista di nazionalità che l’evangelista riporta riflette la dimensione universale del cristianesimo, che già si estendeva in molte regioni dell’allora Impero Romano.
È un evento che riguarda tutti. Raggiunge genti da ogni parte, da ogni costa.
E in questo si delinea una grande svolta.
Se pensiamo all’episodio di Babele — simbolo dell’orgoglio, dell’oppressione — lì, le lingue si erano confuse, e gli uomini non si capivano più.
Quando non si parla la stessa lingua, quando non ci si capisce più, ci si separa.
Ma a Gerusalemme, qui nel Cenacolo, sul Monte Sion, lo Spirito diventa sorgente di armonia, di comunione tra persone di lingue, culture e nazionalità diverse.
E questo mi colpisce profondamente.
Perché qui si rivela un volto bello della Chiesa: la Chiesa è per eccellenza come “anti-Babele”.
E mi piace dirlo, proprio qui e adesso, come fraternità francescana: anche noi, Fratelli della Custodia di Terra Santa, siamo chiamati ad essere l’anti-Babele per eccellenza.
Colpisce il contrasto, sottolineato da Luca:
A Babele, secondo Genesi 11, nessuno capiva più la lingua del proprio vicino.
Erano fisicamente vicini, ma non si comprendevano.
A Pentecoste, nel Cenacolo, ciascuno udiva parlare nella propria lingua.
Erano lontani per origine, ma si comprendevano.
Cari fratelli, anche la fraternità francescana della Custodia è composta da frati provenienti da paesi e lingue diverse.
Solo l’irruzione dello Spirito Santo può creare tra noi vera armonia e unità.
Solo il dono dello Spirito ci permette di comprenderci reciprocamente.
E lo sappiamo bene: tutti abbiamo bisogno di essere capiti, di sentirci compresi.
Quante volte ci diciamo: “Nessuno mi capisce. Ho questa difficoltà… sto attraversando un momento difficile… ma nessuno mi comprende fino in fondo.”
È un bisogno umano, essenziale.
La nostra fraternità deve essere — come dice san Francesco — una madre: un luogo dove ciascuno può manifestare agli altri i propri bisogni senza paura, ed essere accolto.
Non si tratta solo di capirsi a livello linguistico: abbiamo un gran bisogno di sentirci accolti, compresi e ascoltati.
Qui, in questo Cenacolo, nasce la possibilità concreta della comunione, della comprensione reciproca, dell’unità… grazie alla discesa dello Spirito Santo.
Entrando qui oggi, sono rimasto colpito dal grande sigillo appeso in alto, lo stemma della Custodia di Terra Santa.
Indica chiaramente il guardianato di questa prima presenza francescana.
Ci sono due episodi principali che vi sono raffigurati: certo, sono molti di più quelli che qui si sono compiuti, ma la discesa dello Spirito Santo e la lavanda dei piedi.
E ho intuito che non basta dire che lo Spirito Santo crea unità e comprensione tra di noi.
Quando non ci capiamo, quando non ci sentiamo capiti, quando il fratello che vive con noi sembra parlare davvero un’altra lingua, a noi incomprensibile, allora, forse prima ancora delle parole, tanti ragionamenti, tante strategie, per capirci abbiamo bisogno di lavarci gli uni gli altri i piedi.
Perché nel servizio reciproco, quando ci facciamo servitori gli uni degli altri, crollano le barriere, e si comincia a capirsi.
Per la prima volta, oggi, ho indossato il dalmatico — il segno liturgico del ministero del servizio — che rappresenta il primo ordine ricevuto, quello del diaconato.
Ed è questo che sento: abbiamo bisogno tutti di servirci reciprocamente, perché questa è la via che conduce alla comunione, alla comprensione.
Lunedì scorso, nella festa di San Lorenzo da Brindisi, ho pregato chiedendo la grazia di comprendere la mia missione e la forza di realizzarla.
Entrando in questo Cenacolo, guardando questo sigillo, ho detto:
“Forse è proprio qui, la missione: essere docili allo Spirito, vivere secondo lo Spirito e non secondo la carne… e servire. Lavare i piedi ai miei fratelli.”
Cari fratelli, ogni volta che tra noi nascono divisioni, ogni volta che non ci comprendiamo, noi — a differenza di tanti altri — abbiamo una grazia speciale:
possiamo tornare qui, in questo Cenacolo, e invocare una nuova Pentecoste nei nostri cuori.
Facciamolo, anche da soli. Veniamo qui. Adesso che non ci sono i pellegrinaggi c’è un silenzio quasi surreale, un deserto inimmaginabile.
E quando torneranno i pellegrini — perché torneranno — ricordiamoci:
quando non ci sentiamo in comunione, torniamo qui.
Facciamo un pellegrinaggio personale, chiediamo la grazia nei luoghi santi.
Un ultimo pensiero, che prendo dalla nota storica letta all’inizio:
oggi i Francescani della Custodia celebrano l’Eucaristia in occasione dell’ingresso del nuovo Custode, qui nel Cenacolo.
E da questo impariamo ad entrare nel tempo di Dio, che non è il tempo dell’uomo.
A vivere nella pazienza di Dio, che sempre ci sorprende.
Nulla è perduto per sempre. Anche quando ci sentiamo smarriti o feriti, c’è sempre speranza.
Questa celebrazione ci ricorda che la speranza nasce dal progetto di Dio, che è molto più grande del nostro.
E allora chiediamo la grazia, oggi come ieri e come domani, di continuare nella fedeltà e nella perseveranza.
Sia lodato Gesù Cristo.