Omelia – lunedì XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno C)
6 ottobre 2025 - Inaugurazione anno accademico
Gio 1,1-2,1.11 - Gio 2 - Lc 10,25-37
Cari fratelli,
il Signore vi doni la sua pace!
la Parola che la liturgia di oggi ci consegna illumina l’inizio di questo nuovo anno accademico. Desidero evidenziare due aspetti che mi sembrano particolarmente significativi per la nostra comunità di studio e di ricerca.
Anzitutto, la pagina evangelica ci mostra una dinamica tipica dei dialoghi di Gesù: una domanda del dottore della legge («Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»), seguita da una contro domanda di Gesù («Che cosa sta scritto nella Legge?»), poi una seconda domanda del dottore («E chi è il mio prossimo?») e infine una seconda contro domanda di Gesù («Chi di questi ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?»).
Questo schema dialogico mette in luce una costante nello stile di Gesù e, più profondamente, una caratteristica della rivelazione stessa: le risposte del Signore non si limitano a soddisfare la curiosità o l’attesa dell’interlocutore, ma invitano a cambiare prospettiva. Gesù non risponde semplicemente “alla domanda”, ma spesso trasforma la domanda. Le sue risposte sono sempre più ampie, più profonde, più esigenti.
Ecco, mi pare che da qui venga il primo suggerimento per gli studenti: non stancatevi di porre domande! Non abbiate paura di cercare, di interrogarvi, di essere curiosi — non provocatori, ma sinceramente desiderosi di capire. Anche le domande sbagliate possono aprire cammini di verità.
E per voi, docenti, il Vangelo offre un altro invito: come Gesù, rispondete con altre domande, accompagnate i vostri studenti a diventare protagonisti della loro ricerca. L’apprendimento non è la trasmissione di nozioni, ma un cammino condiviso: la fatica della scoperta appartiene agli studenti, e a voi è chiesto di camminare accanto a loro, con pazienza e fiducia.
Veniamo alla seconda parte del Vangelo, centrata sulla domanda del dottore della legge: «Chi è il mio prossimo?» — una questione complessa anche al tempo di Gesù. I diversi maestri di Israele discutevano: il “prossimo” è il vicino, il familiare, il connazionale, l’appartenente alla stessa fede? O solo il giusto?
Recentemente, in un incontro con i nostri parroci, ho appreso con gioia di un percorso di studio della Bibbia in Terra Santa, finalizzato proprio a trovare un linguaggio comune per rispondere alla domanda: chi è il mio prossimo?
Ed è una domanda che qui, in questa Terra segnata da ferite antiche e da un conflitto che continua a generare dolore e odio, suona in modo drammatico. Chi è il mio prossimo oggi in Terra Santa? Chi appartiene a un popolo? Chi soffre? I giusti? Gli innocenti?
Vi confido che mi piacerebbe molto che lo studio serio e appassionato, la ricerca scientifica onesta e non ideologica, potessero aiutarci — tutti, me compreso — a leggere la Parola di Dio dentro la realtà che viviamo, per lasciarci guidare non dalle nostre categorie ma dalla logica di Dio, quella che Gesù ci ha rivelato.
Il prossimo, nella parabola, non è definito dal sangue, dalla religione o dalla legge, ma dalla compassione. È prossimo colui che si ferma, che si piega, che si prende cura. La vera conoscenza — anche quella accademica — non può essere separata dalla compassione: solo chi si lascia toccare dalla sofferenza, comprende davvero.
All’inizio di questo nuovo anno accademico, chiediamo dunque al Signore che ci doni cuori intelligenti e compassionevoli, capaci di cercare la verità non per possederla, ma per servirla; non per dominare, ma per costruire fraternità.