Carissime sorelle, carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace.
Ieri abbiamo visto come il perdono ci raggiunge gratuitamente per noi ma “a caro prezzo” per Gesù Cristo, che per riconciliarci dona se stesso sulla croce.
Stasera vediamo qual è la risposta alla quale siamo chiamati. Detto in soldoni: se siamo stati perdonati e riconciliati in questo modo, noi cosa dovremmo fare?
Il peccato è come un debito accumulato, e solo Dio può perdonare i nostri peccati (cfr. Mc 2,7) e condonarci il debito totale. Proprio per questo noi siamo chiamati a entrare in sintonia con il modo di agire di Dio e anziché rifarci sul fratello che ha mancato verso di noi, l’atteggiamento giusto diventa quello di “condonare” a nostra volta il debito che il fratello ha verso di noi. Cioè perdonarlo.
Nel dialogo tra Pietro e Gesù è particolarmente interessante la domanda di Pietro e la risposta di Gesù: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settantasette volte» (Mt 18,21-22). Per capire la risposta di Gesù dobbiamo tornare al primo libro della Bibbia, il Libro della Genesi. La risposta di Gesù, infatti, annulla la perversa reazione a catena della vendetta innescata da Lamech, nel Libro della Genesi. Questo nipote di Caino, in un testo che è la perfetta antitesi della risposta di Gesù a Pietro, aveva detto alle mogli: «Ada e Silla, ascoltate la mia voce; / mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. / Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura / e un ragazzo per un mio livido. / Sette volte sarà vendicato Caino, / ma Lamec settantasette» (Gn 4,23-24).
Dal 7 ottobre 2023 ad oggi in Terra Santa abbiamo respirato più odio e sete di vendetta che ossigeno. La risposta militare ai 1.200 morti massacrati da Hamas ha causato ormai altri 39.363 morti, il 70% dei quali donne e bambini. In questi giorni le cose stanno progressivamente peggiorando e non se ne viene fuori finché qualcuno non decide di uscire da questa logica e non sceglie unilateralmente di smettere di restituire, colpo su colpo e moltiplicato, il male ricevuto.
La logica di Lamech è chiara: bisogna vendicarsi e farlo in modo crescente e spaventoso. In termini politici si chiama deterrenza. La logica di Gesù è altrettanto chiara: bisogna perdonare e cercare di mettere in atto percorsi di riconciliazione e di correzione. In termini politici è ciò che propone la dottrina sociale della Chiesa almeno dai tempi di papa Giovanni XXIII (Pacem in Terris) e dal concilio Vaticano II (Gaudium et Spes), partendo dalla realistica costatazione che la prossima guerra potrebbe essere l’ultima: “Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell'uso di queste armi” (cfr. GS 80).
Il primo passo è il rifiuto di vendicarsi per spezzare la spirale del male e della violenza. Usciamo dalla logica di Lamec che è la logica della vendetta. Su questo abbiamo già riflettuto.
Il secondo passo è quello di accettare l’altro e il suo diritto ad esistere a partire dal riconoscimento della sua sofferenza. Rachel Goldber Polin, la portavoce dei parenti delle vittime del 7 ottobre, mamma di un giovane di 23 anni di nome Hersh rapito da Hamas durante l’attacco terroristico ha rilasciato un’intervista molto bella a Roberto Cetera dell’Osservatore Romano (11/11/2023). Alla domanda se per evitare un altro 7 ottobre sia sufficiente l’attuale soluzione militare risponde in modo molto chiaro: “No. Non basta. Perché Hamas non è solo un gruppo terrorista, è un’idea, un’idea sbagliata certo, ma le idee non si eliminano con le armi. Occorre un grande piano di riconciliazione. Come avvenne in Sud Africa. Occorre condividere i rispettivi dolori. Loro devono rispettare e condividere il nostro dolore, e noi il loro. Ci vorrà del tempo, ma occorre provarci, altrimenti l’odio continuerà ad essere la soluzione più semplice, e sarebbe la fine per tutti in questa terra”. Quando mi chiudo nella mia sofferenza questa genera rabbia, che si trasforma in sete di vendetta o in autodistruzione. Quando riconosco la sofferenza dell’altro questo genera empatia e mi porta alla compassione e alla reciproca accettazione.
Come ha precisato la Commissione Teologica Internazionale: “Questa [la purificazione della memoria] consiste nel processo volto a liberare la coscienza personale e collettiva da tutte le forme di risentimento o di violenza, che l'eredità di colpe del passato può avervi lasciato, mediante una rinnovata valutazione storica e teologica degli eventi implicati, che conduca - se risulti giusto - ad un corrispondente riconoscimento di colpa e contribuisca ad un reale cammino di riconciliazione” (CTI, Memoria e riconciliazione, 2000, Introduzione).
Papa Francesco, in Fratelli tutti ha completato questa idea aiutandoci a capire che: “Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi” (FT 250).
Il Figlio di Maria è quello stesso, ci dice Paolo, “che mi ha amato e ha dato se stesso per me”, ed è quello stesso che mi permette di vivere una conversione così profonda da poter arrivare a dire: “Vivo, non più io, ma Cristo vive in me” (cfr. Gal 2,20), è quel Figlio di Maria che mette in me il suo stesso Spirito perché io diventi capace di camminare non più secondo la carne, cioè secondo quella fragilità umana che mi porta a peccare, ma secondo lo Spirito, il cui frutto è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22). È l’esperienza della riconciliazione che fa maturare in noi questo frutto, ogni giorno dell’anno e in ogni stagione della nostra vita.
Possa il perdono del Signore, in questi giorni, raggiungere il cuore di ciascuno e di ciascuna di noi e farci gustare cosa vuol dire vivere in Dio, cosa vuol dire essere figli di Dio, cosa significa – ci direbbe san Francesco – essere già in Paradiso.