Sono stato costretto ad appellarmi a Cesare | Custodia Terrae Sanctae

Sono stato costretto ad appellarmi a Cesare

Messa in occasione della Festa della Repubblica Italiana

At 28,16-20.30-31; Sal 10; Gv 21,20-25

 

Eccellenze, carissime sorelle, carissimi fratelli,

 

il Signore vi dia pace!

 

1. Nel celebrare oggi l’Eucaristia per l’Italia ci dobbiamo chiedere che senso ha la presente celebrazione religiosa nel contesto di un evento civile. Poi è necessario lasciarci illuminare dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato per cercare di comprendere come svolgere bene il servizio al quale siamo chiamati.

 

2. Fin dal tempo della Chiesa apostolica, san Paolo raccomanda a tutti i cristiani: “prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1 Tm 2,1-2).

In tempi più recenti papa Francesco ha detto: “«È un peccato da portare in confessione non pregare per i governanti». E questa preghiera va fatta soprattutto «per non lasciare da soli» quanti hanno meno «coscienza» che il loro potere non è assoluto ma viene dal popolo e da Dio. Però anche «i governanti devono pregare per chiedere la grazia» di servire al meglio il popolo loro affidato” (Messa a S. Marta, 18 settembre 2017).

La preghiera per il bene del proprio Paese, come per i governanti e per quelli che stanno al potere è sempre una preghiera in vista del bene comune e della pace, per poter vivere tutti con dignità e poter esprimere la propria libertà di coscienza attraverso il libero esercizio della propria fede.

 

3. Per evidenziare quanto questo sia importante, la nuova edizione del messale italiano riporta una preghiera speciale per la patria e la comunità civile, una per le autorità civili, una per un’assemblea di governanti e una anche per il Presidente della Repubblica.

Nella preghiera per la patria chiediamo a Dio qualcosa di essenziale: “O Dio, che disponi ogni cosa con sapienza, accogli nella tua bontà le preghiere che ti rivolgiamo per la nostra patria, perché con la saggezza dei governanti e l’onestà dei cittadini si consolidino la concordia e la giustizia, e si affermi, nella pace, una prosperità duratura” (MR3, p. 886). Perché si realizzi il bene comune non basta ovviamente la saggezza dei governanti ma ci vuole anche l’onestà dei cittadini e viceversa. Questo vale per la nostra patria, l’Italia. Questo vale per ogni patria, anche per quelle che in questo momento soffrono a causa della guerra, anche per le patrie alle quali non è concesso di esistere come tali, nonostante le legittime aspirazioni dei popoli che vi si identificano.

 

4. Cosa ci suggerisce la Parola di Dio?

La prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli ci ricorda la prigionia romana dell’apostolo Paolo. Arrestato a Gerusalemme nel 58 d.C. viene tradotto a Cesarea dove rimane in carcere per due anni. Di lì – avendo, in quanto cittadino romano, fatto appello a Cesare – viene trasferito a Roma, dove sconta altri due anni di carcere, questa volta agli arresti domiciliari, sotto custodia militare, e a proprie spese.

È particolarmente interessante notare che l’apostolo Paolo, sostanzialmente, si fida delle istituzioni romane. Non si sottrae né all’arresto né al carcere e attende con fiducia di essere giudicato e ottenere giustizia legale da un legittimo tribunale umano. Questa fiducia nelle istituzioni da parte del cittadino Paolo dovrebbe essere anche di ognuno di noi.

Questa fiducia dovrebbe però essere anche garantita e meritata dalle istituzioni alle quali il cittadino si rivolge.

 

5. Il breve brano evangelico che abbiamo ascoltato costituisce la finale del vangelo secondo Giovanni. Contiene uno spunto illuminante circa il modo con cui ognuno di noi è chiamato a vivere la propria relazione con Gesù ma anche il proprio servizio.

Pietro sta parlando con Gesù lungo la riva del lago di Galilea e voltandosi vede Giovanni che li segue a una certa distanza. Allora chiede a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?» E Gesù risponde: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi» (cfr Gv 21,21-22).

Nel vivere la nostra relazione con Gesù, ma anche nel vivere il nostro servizio noi dobbiamo imparare a non fare paragoni. La mia relazione con Gesù è unica e quella di ogni altro discepolo è unica. Ma anche il servizio che sono chiamato a svolgere è unico perché lo dovrò fare così come sono, senza farmi prendere dall’ansia di paragonarmi agli altri.

I paragoni sono spesso fonte di frustrazione, di invidia e gelosia, di scontentezza. Gesù ci dice: non ti deve importare come un altro mi segue, ma piuttosto di seguirmi tu. E così non mi deve importare ciò che un altro è chiamato a fare ma mi deve importare di impegnare tutte le mie energie per fare bene quello che sono chiamato a fare.

 

6. Concludo con una preghiera che è un augurio: che il Signore continui a benedire l’Italia e gli italiani, anche quelli che, come noi, si trovano sparsi un po’ in tutto il mondo.

Che il Signore benedica anche i “nuovi italiani”, quelli che cercano di trovare nel nostro paese una patria perché hanno perso la loro o perché sono nati lontano dalla patria dei loro genitori.

Che attraverso le istituzioni del nostro Paese, e anche attraverso ciascuno/a di noi, il Signore continui a seminare nel mondo intero quella cultura del dialogo, della pace e della convivenza ma anche della bellezza, dell’arte e della creatività tipiche del DNA italiano. Sono caratteristiche che hanno brillato in modo sommo nel nostro Santo Patrono Francesco d’Assisi e che sono certamente inscritte anche in ciascuno/a di noi.

Buona festa dell’Italia.