Incontro online in occasione della Prima Giornata Internazionale della Fraternità Umana | Custodia Terrae Sanctae

Incontro online in occasione della Prima Giornata Internazionale della Fraternità Umana

Enciclica “Fratelli tutti”, aspetti educativi e interreligiosi

Enciclica “Fratelli tutti”, aspetti educativi e interreligiosi

Fr. Francesco Patton ofm, Custode di Terra Santa

Permettetemi di iniziare il mio intervento con il saluto caro a san Francesco:

il Signore vi dia pace!

Saluto cordialmente la Presidente dell’UCIIM Olga Bombardelli e la Presidente dell’AIMC Paola Valcanover. Saluto la Dottoressa Nibras Breigheche, alla quale pure è stato chiesto di dare il proprio contributo a questa prima “Giornata internazionale per la Fratellanza Umana”, o come si potrebbe dire con un linguaggio più francescano “Giornata per la Fraternità Universale”.

Saluto naturalmente tutte le persone collegate via internet per questo nostro incontro.

Premessa

Nella presentazione dell’Enciclica “Fratelli tutti” passerò in rassegna i singoli capitoli, sintetizzandone i contenuti. Mi permetto di premettere alcune considerazioni globali sull’enciclica e sugli aspetti educativi e interreligiosi che propone. Mi fermerò soprattutto sugli spunti pedagogici che si applicano a tutti gli ambiti relazionali in cui secondo papa Francesco è necessario avviare processi di crescita nella capacità di relazionarsi in modo fraterno, incluso ovviamente l’ambito delle relazioni tra i credenti di differenti religioni.

Il percorso che fa fare l’enciclica è pedagogico nella sua globalità, perché parte dalla costatazione della realtà esistente, propone poi un paradigma pedagogico attraverso la parabola del Buon Samaritano e sviluppa nei singoli capitoli ambiti nei quali la fraternità va coltivata, mostrando di volta in volta i valori e gli atteggiamenti ai quali educare, ma anche dei veri e propri percorsi e delle linee d’azione che vanno a toccare il mondo della cultura, dell’economia e dell’ecologia, dell’impegno sociale e di quello politico nella prospettiva del dialogo, dell’amicizia e della carità, per offrire anche percorsi a carattere locale e universale, approdando al termine dell’enciclica a quello che è lo specifico contributo delle religioni a un’umanità fraterna e in pace.

L’articolazione è pedagogica anche all’interno dei singoli capitoli, perché generalmente ogni capitolo segue la metodologia cara a papa Francesco, che è uno sviluppo del metodo “vedere-giudicare-agire” utilizzato già ai tempi del Concilio e particolarmente valorizzato in America Latina a livello pastorale. Per quanto riguarda l’agire lo stesso papa Francesco ha già riassunto in questo modo quello che è il suo orientamento pedagogico, ciò che lui intende per “agire” e il processo che lo descrive: “prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare” (Evangelii Gaudium, 2013, n. 24).

Il vocabolario dell’educare ricorre ben 28 volte, nelle sue varianti, educare-educazione-educatore-educato. E in special modo nel capitolo terzo, dedicato al tema del “pensare e generare un mondo aperto” (nn. 87-127). Il tema ricorre ovviamente anche al Capitolo quarto dove si invita ad educare ad avere un cuore aperto al mondo intero e si evidenzia che “l’integrazione culturale, economica e politica con i popoli circostanti dovrebbe essere accompagnata da un processo educativo che promuova il valore dell’amore per il vicino, primo esercizio indispensabile per ottenere una sana integrazione universale” (n. 151). Nel quinto si affronta il tema della buona politica e quindi anche dell’educazione ad essa (n. 167 e n. 187). Nel sesto non se ne parla esplicitamente ma è implicito quando si sottolinea la necessità di recuperare il valore sociale della gentilezza (nn. 222-224). Il capitolo settimo è pedagogico in sé, perché offre “percorsi” di un nuovo incontro. E nell’ottavo dedicato al contributo delle religioni è visto come “servizio alla fraternità nel mondo”.

Una volta ricorre anche il termine “pedagogia”, al n. 28 per stigmatizzare la “pedagogia mafiosa” “che, con un falso spirito comunitario, crea legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile liberarsi”. E un’altra volta invece in accezione positiva al n. 104, dove viene evidenziato il necessario impegno educativo per l’acquisizione dei i valori: “neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che ‘tutti gli esseri umani sono uguali’, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità”.

 

Al numero 114, dopo essersi rivolto alle famiglie si rivolge al mondo della scuola e della comunicazione: “Per quanto riguarda gli educatori e i formatori che, nella scuola o nei diversi centri di aggregazione infantile e giovanile, hanno l’impegnativo compito di educare i bambini e i giovani, sono chiamati ad essere consapevoli che la loro responsabilità riguarda le dimensioni morale, spirituale e sociale della persona. I valori della libertà, del rispetto reciproco e della solidarietà possono essere trasmessi fin dalla più tenera età. […] Anche gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale hanno responsabilità nel campo dell’educazione e della formazione, specialmente nelle società contemporanee, in cui l’accesso a strumenti di informazione e di comunicazione è sempre più diffuso»” (FT 114).

L’ispirazione è fortemente ed esplicitamente francescana, dalla citazione iniziale, che dà il titolo all’enciclica, che è tratta dalle Ammonizioni di san Francesco (Amm VI,1: FF 155) e costituisce una ripresa della precedente enciclica, la “Laudato sii”, che pure prendeva ispirazione da san Francesco e dalla sua comprensione della fraternità insita nel fare tutti parte dello stesso creato, che ha la propria origine nell’amore creativo di Dio.

L’ispirazione francescana si coglie nel sottolineare la fraternità come un atteggiamento attivo, cioè un impegno a riconoscere nell’altro/a un fratello/sorella, sempre e nell’assumere attivamente l’impegno ad andare fraternamente incontro all’altro, incluso il lebbroso, il brigante, il nemico sociale, la persona di altra religione. È evidente poi l’ispirazione francescana nel far riferimento all’incontro avvenuto nel settembre 1219 tra san Francesco e il Sultano Al-Malik Al-Kamil, dal quale papa Francesco ha voluto prendere ispirazione in molte occasioni, ma particolarmente in occasione del suo viaggio in Egitto nell’aprile del 2017 e in occasione della firma del Documento di Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, assieme al Grande Imam di Al-Ahzar Ahmad Al-Tayyeb. Per papa Francesco questo incontro non è solo un’icona del dialogo, ma è un paradigma non ancora del tutto compreso e valorizzato.

È significativo l’interrogativo esplicitamente pedagogico che papa Francesco pone all’interno dell’Enciclica, un interrogativo che serve a promuovere una riflessione seria e spinge a intraprendere un cammino anche coloro che ironizzano su questo tipo di riflessione: “Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori?” (FT 103). La risposta ahimè è la fotografia di una realtà che molte volte cade sotto i nostri occhi: “Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere” (FT 103).

La struttura e il contenuto

  1. Il capitolo primo offre una lettura critica della situazione che evidenzia “le ombre di un mondo chiuso” e mette in luce gli aspetti che mettono in crisi il progetto/sogno di fraternità, nel campo dei diritti umani, nella globalizzazione che crea scarto ed esclusione, perfino nella gestione della pandemia, nella gestione delle frontiere, nell’ambito della comunicazione, nelle relazioni all’insegna della violenza economica.

Termina la lettura critica con un invito alla speranza che è comunque radicata nel cuore delle persone: “Malgrado queste dense ombre, che non vanno ignorate, nelle pagine seguenti desidero dare voce a tanti percorsi di speranza. Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene. La recente pandemia ci ha permesso di recuperare e apprezzare tanti compagni e compagne di viaggio che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. Siamo stati capaci di riconoscere che le nostre vite sono intrecciate e sostenute da persone ordinarie che, senza dubbio, hanno scritto gli avvenimenti decisivi della nostra storia condivisa: medici, infermieri e infermiere, farmacisti, addetti ai supermercati, personale delle pulizie, badanti, trasportatori, uomini e donne che lavorano per fornire servizi essenziali e sicurezza, volontari, sacerdoti, religiose,… hanno capito che nessuno si salva da solo” (FT 54).

  1. Il capitolo secondo offre un paradigma per capire cosa è necessario per invertire la tendenza. Il paradigma è quello del “Buon Samaritano”. Occorre cominciare ad aprire gli occhi sul fratello abbandonato lungo la strada, che vuol dire su ogni fratello, perché lo “scartato” è inclusivo. E occorre imparare a farsi prossimo. Applicato al tema della fraternità questo significa avere coscienza che costruire fraternità vuol dire cominciare a riconoscere nell’altro un fratello, trattarlo come tale, imparare a diventare fraterno.

Questa è una chiara ispirazione francescana, è ciò che Francesco fa col lebbroso, con i briganti, con il Sultano, ma anche con le creature, con la stessa malattia e con la morte.

Questo cambio di paradigma è importante, è passare dalla logica dell’ “homo homini lupus” a quella dell’ “homo homini frater”, o per usare il linguaggio di papa Francesco dalla logica dello “scartare” alla logica del “prendersi cura dell’altro”.

“Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (cfr Mt 25,40.45). In realtà, la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che «gli conferisce con ciò una dignità infinita». A ciò si aggiunge che crediamo che Cristo ha versato il suo sangue per tutti e per ciascuno, e quindi nessuno resta fuori dal suo amore universale. E se andiamo alla fonte ultima, che è la vita intima di Dio, ci incontriamo con una comunità di tre Persone, origine e modello perfetto di ogni vita in comune. La teologia continua ad arricchirsi grazie alla riflessione su questa grande verità” (FT 85).

  1. Il capitolo terzo propone l’idea “pensare e generare un mondo aperto” e prende spunto da un’idea del Vat II GS 24 dove si dice che l’uomo si ritrova in pienezza solo nel dono di sé. È in questo capitolo che papa Francesco sviluppa una pedagogia dell’amore che è in qualche modo conseguenza del capitolo precedente e presenta l’amore come un’apertura progressiva all’altro e una serie di progressive aperture dove al centro c’è la persona da promuovere nella sua crescita autentica e integrale, promuovendo la ricerca del bene, della solidarietà della condivisione dei diritti.

“L’amore, infine, ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)” (FT 95).

  1. Il quarto capitolo potremmo dire che si occupa di educare ad aprire il cuore al mondo intero, sapendo coniugare il valore dell’identità locale con il valore dell’apertura all’universale (il Papa preferisce parlare di universale che di globale). È il dialogo fecondo tra l’esperienza di comunità fraterna che si può fare a livello della piccola dimensione (Bauman, Voglia di comunità) e l’esperienza di fraternità che si può fare a livello universale (ecco il tratto francescano).

“Ci sono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. Nascondono uno spirito chiuso che, per una certa insicurezza e un certo timore verso l’altro, preferisce creare mura difensive per preservare sé stesso. Ma non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli. Tale localismo si rinchiude ossessivamente tra poche idee, usanze e sicurezze, incapace di ammirazione davanti alle molteplici possibilità e bellezze che il mondo intero offre e privo di una solidarietà autentica e generosa. Così, la vita locale non è più veramente recettiva, non si lascia più completare dall’altro; pertanto, si limita nelle proprie possibilità di sviluppo, diventa statica e si ammala. Perché, in realtà, ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che «una cultura senza valori universali non è una vera cultura»” (FT 146).

 

  1. Il quinto capitolo va a toccare il tema della politica, e anche in questo ambito quello che papa Francesco cerca di proporre è la “carità politica”, cioè una politica intesa come amore per la polis, per la comunità umana. È il tema dell’amore sociale che ritornerà anche nel capitolo successivo e al quale per papa Francesco è necessario educare. Nella parte critica fa una interessante distinzione tra popolare e populista, così come poi rileva valori e limiti delle visioni liberali dominate dall’idea di mercato e centrate sull’individuo anziché sui valori di persona e di bene comune. C’è in questo capitolo un paragrafo di grande attualità, il 197: «Vista in questo modo, la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico. Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo desolante incapace di appellarsi a un progetto comune. Pensando al futuro, in certi giorni le domande devono essere: “A che scopo? Verso dove sto puntando realmente?”. Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande, forse dolorose, saranno: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”».

 Il capitolo sesto approfondisce il tema del dialogo e dell’amicizia sociale, proponendo come nuova cultura la cultura del dialogo, che evidentemente essa pure è frutto di un’educazione e non si apprende in modo spontaneo, e richiede la capacità di riconoscere l’altro (l’avevamo già visto nella parabola del Buon Samaritano) e anche il recupere di un atteggiamento fondamentale quello della gentilezza, che è antidoto alla cultura dell’arroganza, della prepotenza, della violenza e della sopraffazione: “Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti” (FT 224).

  1. Il settimo capitolo presenta una pedagogia dell’incontro sotto il titolo “percorsi di un nuovo incontro”. Si ricomincia dalla verità intesa come il riconoscimento e la memoria della realtà storica, si passa per un percorso di “architettura e artigianato della pace” che vuol dire un percorso che suppone un impegno e una cura personali, e un impegno e una cura sempre in divenire. Occorre che in questo percorso ci sia attenzione ai poveri, che sono il vero termometro dell’inclusione. Il papa poi sottolinea il valore e il significato del perdono a partire dalla costatazione che da un lato il conflitto è inevitabile, che ci sono anche lotte legittime, ma che la riconciliazione avviene non fuggendo dal conflitto ma “nel conflitto stesso”, “superandolo attraverso il dialogo e la trattativa, trasparente, sincera e paziente” (FT 244). In questo capitolo particolarmente importante si tocca poi il tema della memoria e del fatto che coloro che perdonano non devono affatto dimenticare (Hiroshima, la Shoà) “ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi” (FT 251). Di questo percorso fa parte infine il riconoscere l’ingiustizia della guerra e della pena di morte.
  1. Il capitolo ottavo è lo sviluppo di quanto detto finora applicandolo alle relazioni tra credenti di diverse religioni ed all’impegno per la pace e il dialogo che tutti noi siamo chiamati ad avere come credenti. È in buona parte la ripresa del cosiddetto Documento di Abu Dhabi “Sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, sottoscritto assieme alla suprema autorità dell’Islam sunnita, il Grande Imam di Al-Ahzar Ahmad Al-Tayyeb il 4 febbraio 2019, facendo memoria dell’incontro avvenuto a Damietta in Egitto nel 1219 tra San Francesco e il Sultano Al-Malik Al- Kamil, incontro al quale il Papa si è più volte richiamato e che rimane per lui paradigmatico dell’incontro fraterno e dell’ospitalità reciproca e autentica tra credenti cristiani e musulmani, o – sarebbe più corretto dire – dell’accoglienza cordiale che un grande leader musulmano come Al-Malik Al-Kamil (curdo siriano e nipote di Saladino il Grande) ha riservato a un cristiano (Francesco d’Assisi), che in un contesto di guerra andava incontro a lui con fiducia e apertura di cuore. Per me che vivo in Terra Santa, questo capitolo ottavo non è solo stimolo a impegnarmi in una certa direzione, ma è fonte di commozione. È grazie a chi ha vissuto per secoli dentro questa prospettiva che noi frati siamo in Terra Santa, ininterrottamente, da 800 anni e in pace ed amicizia con i credenti di tutte le religioni che guardano ad Abramo come “padre nella fede”.

Il fondamento che papa Francesco ravvisa a questo impegno e che propone ai cristiani è chiaramente legato al concetto biblico neotestamentario della comune paternità di Dio nei confronti dell’umanità, così come dell’essere tutti fratelli in Gesù Cristo e sotto l’azione dell’unico Spirito Santo (FT 272-279).

Gli sviluppi successivi sono quelli legati al fatto che le religioni devono fare un cammino di pace, rifiutando la violenza e particolarmente la strumentalizzazione della fede e del nome di Dio per giustificare la violenza. Cosa che – purtroppo – storicamente, un po’ tutte le religioni hanno fatto. Papa Francesco sottolinea in modo forte la necessità del dialogo tra credenti di diverse religioni, nel rispetto delle diverse identità e senza ovviamente mascherare o censurare la propria.

L’enciclica si chiude con due preghiere, come già era accaduto nella “Laudato sii”. La prima è una “preghiera al Creatore”, che può essere pregata da credenti di qualsiasi religione, la seconda è una “preghiera cristiana ecumenica” cioè una preghiera che è espressa dal punto di vista dell’identità cristiana, cioè come invocazione al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, unico Dio in tre persone.

Conclusione

Per concludere, possiamo dire che l’enciclica “Fratelli tutti” è educativa quanto alla scelta del tema, quello di un’educazione alla “fraternità attiva e universale”, cosa di cui c’è particolare bisogno in un contesto come quello attuale. Questa diventa, potremmo dire, la meta verso cui educarci ed educare.

È un’enciclica pedagogica per quello che riguarda la struttura, dato che parte da una lettura della realtà e la illumina con la proposta di valori sic et simpliciter umani ed evangelici e attraverso l’offerta della parabola del Buon Samaritano offerta anche come metodologia per educarsi ed educare alla fraternità. Oltre ai valori offre poi ambiti nei quali declinare l’educazione alla fraternità in termini personali, sociali, culturali, economici, ecologici, politici, religiosi e interreligiosi.

È un’enciclica pedagogica anche nell’articolare le singole sezioni in modo tale che ogni singolo ambito e ogni singola azione proposta si collochi dentro questa logica del processo, che è tanto cara a papa Francesco (cfr. Evangelii Gaudium n. 223), cioè del movimento di crescita nella consapevolezza che gli equilibri raggiunti non sono mai definitivi e sono la base di partenza per un nuovo percorso di crescita. In questo è significativa la scelta di usare il linguaggio del generare, lì dove si parla di quella che è l’azione necessaria per veder nascere un mondo nuovo, aperto alla riconciliazione e alla pace, in definitiva più fraterno.

È pedagogica anche nel proporre il contributo attivo delle religioni, a partire da un’icona dell’incontro che è quella dell’incontro tra san Francesco e il Sultano Al-Malik Al-Kamil, attualizzata dallo stesso papa Francesco attraverso il documento di Abu Dhabi. Leggendo l’enciclica da Gerusalemme, direi che l’enciclica è particolarmente pedagogica proprio in questo dato che riconosce l’importanza imprescindibile che hanno le religioni e che ha il dialogo tra i credenti di religioni diverse, ai fini di cooperare alla generazione di un mondo fraterno, riconciliato e in pace.