Elisabetta: donna, cristiana e santa | Custodia Terrae Sanctae

Elisabetta: donna, cristiana e santa

Festa di S. Elisabetta d’Ungheria

Sir 26,1-4; Sal 33; 1 Tm 5,3-10; Mt 25,31-40

Carissime sorelle, carissimi fratelli,

il Signore vi dia pace!

  1. Pensando di dover riassumere in tre parole il ritratto di Elisabetta d’Ungheria, le tre parole che mi sono venute in mente sono: donna, cristiana e santa. Tutti noi conosciamo i tratti essenziali della sua breve vita. Elisabetta ancora bambina lascia la sua casa paterna in Ungheria e si reca in Turingia perché dovrà essere educata nella casa del futuro marito Ludovico di Turingia, con il quale si sposerà nel 1221, a 14 anni. Elisabetta conosce e sperimenta la grazia e la gioia del matrimonio e della maternità, perché vive una relazione di amore intenso e autentico con suo marito e in pochi anni accoglie tre figli.

A 20 anni rimane vedova. Poco dopo si consacra al Signore. Muore nel 1231 a soli 24 anni e appena 4 anni dopo viene proclamata santa a Perugia da papa Gregorio IX nel 1235. Questa è la sua biografia essenziale.

  1. Nella sua breve vita emerge però in modo chiaro il suo essere donna in senso pieno e in senso vero. La sua sensibilità femminile viene sottolineata nei racconti delle quattro ancelle che hanno testimoniato su di lei durante il suo processo di canonizzazione.

La sua femminilità emerge nell’amore per il marito e per i figli. Sono tante le testimonianze a questo riguardo. Verso il marito ha parole di amore personale tenero e profondo. Quando rimane vedova e viene cacciata dal castello di Wartburg, soffre per la situazione in cui vengono a trovarsi i suoi figli ancora piccoli. Ma la stessa femminilità emerge quando si prende cura dei bambini poveri e orfani andandoli a trovare, pulendoli e portando loro giocattoli e dolci per donare loro un po’ di affetto. E i bambini la ricambiano chiamandola “mamma”. La sua sensibilità femminile emerge quando si prende cura dei poveri e lo fa con la capacità organizzativa della buona casalinga, che sa organizzare bene le cose di casa. Non umilia i poveri ma compera per loro gli strumenti e i vestiti da lavoro e le sementi per seminare. La sua sensibilità femminile la porterà a mettere in piedi in poco tempo due ospedali, manifestando così che il tratto più sensibile dell’amore consiste nel sapersi prendere cura dell’altro in difficoltà.

  1. Nella breve vita di Elisabetta emerge anche in modo costante la sua adesione personale e profonda a Gesù Cristo. Elisabetta è una cristiana autentica.

Fin da bambina lei è attratta dall’amore per Gesù. Una delle ancelle, che era stata sua compagna fin dalla fanciullezza, ricorda quando Elisabetta era ancora una bambina e andava volentieri in cappella e faceva genuflessioni davanti a Gesù e sostava in preghiera. La sua vita di sposa e di madre è una vita di sposa e di madre cristiana. Con il marito condivide la preghiera, le veglie e gli atti penitenziali, così come condivide le scelte di attenzione nei confronti dei poveri. Quando ha dei dubbi sulla provenienza delle ricchezze e del cibo di cui dispone e ritiene che siano state estorte alla povera gente in modo ingiusto dai vassalli del marito, allora si rifiuta di servirsi di quei cibi e di quei beni, perché non vuole essere complice di ingiustizia e di sfruttamento. I figli li affida a Dio fin dalla nascita, ponendoli sull’altare, consapevole che sono un dono di Dio e a Lui vanno restituiti.

E il marito Ludovico la difende dagli attacchi di chi non accetta che una regina sia così rigorosa nella propria vita di fede ma anche nel trarre dalla scelta di fede le conseguenze pratiche per le grandi scelte e per la vita di tutti i giorni. Elisabetta ci insegna che la vita cristiana si nutre di amore e devozione nei confronti di Gesù Cristo, ma anche di scelte concrete, personali e costose. La fede non è un soprabito da indossare all’occasione ma l’adesione a una forma di vita secondo il Vangelo. Sempre esigente e radicale.

  1. Elisabetta proprio vivendo fino in fondo il proprio essere donna e il proprio essere cristiana risplende anche nel suo essere santa. Nella sua breve vita ci insegna allora che la santità non è una questione di età o dell’essere sposati o religiosi o single, ma è una questione di qualità evangelica della vita. Nessuna vita è troppo breve perché non ci sia data la grazia di diventare santi. Nessuna condizione di vita ci impedisce di vivere la perfezione del Vangelo: siamo chiamati a essere santi da bambini, da giovani, da adulti e anche da anziani; quando siamo sani e quando siamo malati; prima del matrimonio, durante il matrimonio e anche quando un matrimonio finisce. Siamo chiamati ad essere santi da laici come da consacrati. Siamo chiamati ad essere santi sia quando stiamo in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento, sia quando facciamo qualsiasi tipo di onesto lavoro.

Diventare santi è ciò che dà senso alla nostra vita. E non conta, davvero non conta, quanto la nostra vita sia lunga, ma quanto sia santa nell’amore per Dio e per il nostro prossimo.