1Cor 1,26-31; Sal 32; Mt 25,14-30
Carissime sorelle e carissimi fratelli, in special modo carissimi giovani confratelli che oggi fate la prima professione, il Signore vi dia pace!
“Considerate la vostra chiamata” (1 Cor 1,26) ci dice l’apostolo Paolo nella prima lettura, e allora vogliamo fermarci a riflettere sul senso della vostra e della nostra chiamata, alla luce della Parola di Dio che abbiamo appena proclamato e ascoltato.
Il Cardinal Martini amava dire che quando riflettiamo sulla nostra vocazione dobbiamo anzitutto mettere a fuoco quello che è il principio e fondamento. Dobbiamo cioè scoprire e tenere ben presente qual è l’origine della nostra chiamata e qual è il fondamento solido sul quale possiamo poi costruire o ricostruire la nostra risposta.
Nel brano della Prima lettera ai Corinti che abbiamo ascoltato poco fa, l’apostolo Paolo usa una espressione molto forte, che dobbiamo leggere con molta attenzione, proprio per scoprire l’origine e il fondamento solido della nostra chiamata: “Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1 Cor 1,26-29).
L’origine e il fondamento della nostra chiamata è in un atto di gratuita elezione da parte di Dio nei nostri confronti. Cosa vuol dire? Vuol dire che Dio ci ha scelti NON perché siamo particolarmente intelligenti o plurilaureati, non perché apparteniamo alle famiglie che contano, non perché siamo più forti o più capaci degli altri. Niente di tutto questo. Dio ci ha scelti così come siamo, persone fragili e limitate, per manifestare attraverso di noi, qualcosa del suo modo di pensare che ama rovesciare le categorie di moda; qualcosa del suo modo di agire improntato a servirsi di strumenti piccoli per realizzare cose grandi; qualcosa della sua predilezione per i deboli, i piccoli e gli umili, che – lo canta anche Maria nel Magnificat – Dio preferisce ai forti, ai grandi e ai superbi.
È l’esperienza che ha fatto lo stesso san Francesco. Leggiamo infatti nei Fioretti, che un giorno frate Masseo chiede a Francesco: “Perché a te, perché a te, perché a te tutto il mondo viene dietro?”. E Francesco risponde: “perché non ha veduto fra i peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me” (cfr. Fior X: FF 1838).
L’origine e il fondamento della vostra chiamata, e di ogni chiamata, è dunque in Dio, in un suo libero atto di amore nei confronti di ciascuno di voi. La sua è una predilezione che valorizza tutta la vostra persona, anche se vi sentite deboli e fragili; anzi proprio per questo, perché così non potrete mai montarvi la testa e attribuire a voi stessi ciò che appartiene solo a Dio.
Ciò non vuol dire che noi non dobbiamo fare la nostra parte. Infatti, quasi a dipingere due scene complementari, il vangelo ci racconta la parabola dei talenti, che oserei dire, conosciamo tutti quasi a memoria e proprio per questo leggiamo forse in modo superficiale.
Che cosa ci dice Gesù nella parabola? Ci parla di talenti che vengono affidati a dei servi in misura proporzionata alle loro capacità. Nella parabola Gesù ci parla delle responsabilità che ci affida. Se vogliamo leggere questa parabola come una parabola vocazionale, Gesù ci dice che a ogni chiamata corrisponde un servizio, una responsabilità, che è proporzionata alle nostre capacità. Cioè Dio nel chiamarci non ci sovraccarica affatto, ma ci dà fiducia, una fiducia enorme, perché mette nelle nostre mani tutto ciò che è suo: a qualcuno affida la responsabilità sulla Chiesa universale o su una diocesi, a qualcuno la responsabilità su una parrocchia, a qualcuno su una comunità religiosa o su una famiglia, a qualcuno altre responsabilità ancora.
E noi siamo chiamati a vivere queste varie responsabilità che Dio ci affida, secondo le capacità che abbiamo. Il sentire che Dio ha fiducia di noi e ci affida delle responsabilità dentro la storia, dentro la società, dentro la Sua Chiesa, dovrebbe essere qualcosa che ci stimola a dare il meglio di noi stessi nella vita, come il servo che ha ricevuto i cinque talenti o quello che ne ha ricevuti due.
Una sola cosa non è ammessa: che ci lasciamo vincere dalla paura di sbagliare e per questo non facciamo niente.
Ho l’impressione che oggi molti, per paura di sbagliare non facciano nessuna scelta di vita: siccome vedo che molti matrimoni vanno a gambe all’aria e che mettere al mondo figli è impegnativo non mi sposo e siccome vedo che molti preti, frati e suore abbandonano, non scelgo neanche quella forma di vita anche se magari sento che il Signore mi attira.
È così che sotterriamo il talento, evitando di fare scelte di vita per paura di sbagliare. E quando arriviamo oltre una certa età ci accorgiamo che ormai è tardi e ci guardiamo indietro, e – come dice la parabola – ci sentiamo inutili, senza bisogno che qualcuno ce lo faccia notare.
Non abbiate paura di fare questa scelta, non abbiate paura di fare scelte: è meglio sbagliare per aver provato a dare un senso alla vita che seppellire se stessi nel non scegliere e nel non agire per non sbagliare.
Cari giovani confratelli, tra pochi minuti voi farete la vostra prima professione. È un primo passo, ma è un primo passo importante, che vi permetterà di conoscere sempre più questa forma di vita che san Francesco ci ha indicato e vi permetterà di entrare progressivamente in questa forma di vita che consiste nel seguire le orme di nostro Signore Gesù Cristo e nell’osservare il suo Vangelo vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità, dentro una fraternità della quale oggi iniziate a far parte.
Come ci ha ricordato il santo papa Giovanni Paolo II: “La scelta di questi consigli, lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro trasfigurazione. I consigli evangelici non vanno considerati come una negazione dei valori inerenti alla sessualità, al legittimo desiderio di disporre di beni materiali e di decidere autonomamente di sé. Queste inclinazioni, in quanto fondate nella natura, sono in se stesse buone. La creatura umana, tuttavia, debilitata com’è dal peccato originale, è esposta al rischio di tradurle in atto in modo trasgressivo”. Di conseguenza, ci ricorda il santo papa, quando abbracciamo i consigli evangelici proponiamo una «terapia spirituale» per l’umanità (cfr. VC 87).
Fate con fiducia e con gioia e con senso di abbandono questo passo. Ricordatelo: l’origine e il fondamento della vostra chiamata è in una scelta gratuita e piena di amore da parte di Dio; ricordate che non vi viene chiesto di vivere qualcosa che vada oltre le vostre capacità, ma qualcosa che è secondo le capacità di ciascuno di voi. Soprattutto non abbiate paura: voi investite in questa scelta e in questa vita tutto ciò che siete e Dio a sua volta mette in gioco se stesso con ciascuno di voi e vi promette la vita eterna, che è una vita significativa, è una vita di comunione nell’amore, è una vita piena e per sempre.