Continua la collaborazione tra VITA TRENTINA e fr. Francesco Patton, Custode di Terra Santa nella rubrica "In ascolto della Parola". Al suo fianco le formichine di Fabio Vettori, interpreti della Parola, di domenica in domenica.
Gn 14,18‑20; 1Cor 11,23‑26; Lc 9,11‑17
«Ogni volta, infatti, che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». 1Cor 11,26
Sederci a mensa è molto più della pura e semplice soddisfazione di un bisogno fisiologico, sederci a mensa vuol dire, in certo qual modo, riconoscere che facciamo parte del creato, riconoscere che la vita non ce la diamo da noi ma la riceviamo in dono, significa riconoscersi in comunione col creato e bisognosi che il Creatore apra la sua mano e ci sazi come ogni altro essere vivente. Forse è per questo che in ogni cultura ed in ogni religione il mangiare assieme si carica di significati che partono dalla realtà del nutrirsi ma al tempo stesso la trascendono, la superano.
Dentro questa realtà di dipendenza creaturale si è inserito lo stesso Figlio di Dio, nel momento in cui ha scelto la via dell’incarnazione per farsi nostro fratello, ma ha però portato questa realtà del creato dentro una nuova dimensione: quella della vita divina. Nell’ultima cena Gesù assume il creato nelle forme del pane e del vino, assume una tradizione culturale e religiosa appartenente al popolo d’Israele e le carica del dono di sé. Sedersi a mensa diventa sedersi a mensa con Dio, ricevere il pane ed il vino trasformati dalla Parola di Cristo e dalla forza dello Spirito significa assumere la vita stessa divina nel modo in cui il Cristo ha assunto, nell’incarnazione, la vita umana: «Questo è il mio corpo, che è per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue». Nel ricevere l’Eucaristia il dato naturale assume perciò un significato soprannaturale: noi ci nutriamo di Dio (= Dio è la nostra vita), noi sperimentiamo la comunione al più alto livello sedendoci a mensa con Dio.
Che il mangiare e il bere assumano questo significato, ci ricorda sempre l’apostolo Paolo, non è però un fatto magico o puramente rituale. L’Eucarestia è una realtà che ha a che fare con una Tradizione, cioè con una lunga ed ininterrotta catena di persone che trasmettono ciò che hanno ricevuto dal Signore. L’Eucaristia è un’azione di Chiesa, è tra i doni fondamentali che la Chiesa ha ricevuto da Cristo. Al tempo stesso l’Eucaristia è un «memoriale»: Cristo si è messo “nelle mani della Chiesa” per poter essere ancora attivo ed operante in nostro favore, dentro la storia, facendo sì che il mistero pasquale sia contemporaneo e salvifico per ogni uomo ed ogni donna che viene in questo mondo.
Come ci ha ricordato papa Francesco nell’enciclica “Laudato sii”: “Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio” (LS 236).
A partire da questa prospettiva interroghiamoci sul nostro modo di celebrare e sul nostro modo di partecipare all’Eucaristia.
di fr. Francesco Patton, ofm
Custode di Terra Santa