Quei certi giochi della politica | Custodia Terrae Sanctae

Quei certi giochi della politica

È triste che Israele non si renda conto che l’ingiustizia non paga e che, prima o poi, dovrà venire a patti con la storia, e che la storia giudicherà. È triste pensare che la pesante occupazione israeliana dei Territori danneggia il giudaismo e appanna l’immagine dello stesso Israele. Le ragioni dei “muri”, ideologici o no, che le dittature di ogni tempo hanno voluto innalzare a garanzia e difesa della logica dei loro conclamati diritti di intransigenza politica si sgonfieranno per naturale esaurimento. La storia insegna ma, purtroppo, c’è chi resiste alla sua comprovata e documentata lezione.

Da tempo i giornali parlano dell’annunciato e non ancora avverato disimpegno da Gaza. Non mi stupisco al pensare che il piano venga ritardato, ma fino a quando e in quali misure? Siamo ormai troppo abituati alla strategia delle promesse vanificate. Se il disimpegno unilaterale da Gaza avverrà, come si prevede, ed è certamente sperabile, avverrà ma con lo scopo di annacquare se non addirittura congelare il processo di pace.

Dico questo perché non ci si illuda: lo smantellamento di alcune colonie nella Striscia di Gaza è un do ut des, dando mano libera a Israele nell’ampliare e rafforzare gli insediamenti in Cisgiordania che resta, per Israele, l’area di maggiore interesse e il pretesto per andare avanti nel suo strisciante e calcolato espansionismo che continua inarrestabile attraverso la costruzione di nuovi insediamenti e l’allargamento dei vecchi. Un gioco politico subdolamente strategico per guadagnare tempo e continuare nella politica dei fatti compiuti e dei tempi lunghi tanto cara ai poteri imperialistici. Assistiamo allibiti a un gradualismo sistematico della confisca del territorio palestinese occupato che fa congetturare il tramonto dello Stato palestinese.

Se i processi di pace non si avviano con l’intento preciso e responsabile di trattare su una piattaforma di rapporto bilaterale giusto, equo e responsabile, si potrà anche magari arrivare a una pace fasulla scritta sulla carta, ma sarà una pace dalla vita corta. La pace-trattato di Yalta può insegnare qualcosa.

Al riguardo mi sia consentito riportare alcune meditate riflessioni di un uomo che aveva uno spiccato senso della storia e della politica. Giuseppe DOSSETTI, il noto monaco-profeta, fine politico e acuto analista della storia della regione, scriveva: "Dentro di me, nella mia stessa coscienza si urtano ragioni ideali opposte che mi fanno vivere dal di dentro tutto il conflitto che mi preme addosso dall'esterno.
Da un lato è in me la memoria indelebile dell'olocausto ebraico e l’apertura e sensibilità consonanti con la grande tradizione dell'Israele eterno – l'Israele spirituale – che ritengo ancora necessaria al cristianesimo e alla Chiesa per autocomprendersi e per vivere con totale coerenza e fedeltà la propria missione nel mondo.

Dall'altro è la lucida e aperta consapevolezza che il mondo intero, specialmente il nostro mondo occidentale (prima e più che lo stesso Stato israeliano) ha commesso - e continua a commettere – nei confronti degli arabi palestinesi un'enorme ingiustizia (qualunque sia il loro errore o la loro colpa ) e che la pace – nello stesso interesse dello Stato d'Israele – non potrà esservi senza una riparazione effettiva delle ingiustizie consumate e senza la restituzione di una parte dei Territori a un popolo conculcato e da tutti i lati spinto alla disperazione".

Un’ennesima recente cronaca con valore di testimonianza, ricavata da fonti bene informate, ci può dare un’idea della cruda realtà della situazione che si vive nei Territori occupati. “In data 15 aprile 2005 le autorità militari israeliane si sono presentate al sindaco del villaggio di Abud informandolo che per erigere il “Muro di sicurezza” confischeranno circa 600 ettari (6000 dunam) di terra del villaggio, molti dei quali coltivati a ulivo.

Ciò significa che il tracciato attuale del “Muro di separazione” priverà il villaggio dell’antica chiesa di Santa Barbara, luogo di pellegrinaggi e simbolo dell’identità cristiana della locale comunità; della zona archeologica del paese, con tombe giudaiche di più di 2000 anni fa, con importanti affreschi e bassorilievi e una grande cisterna di acqua potabile. Il tracciato del Muro arriverebbe a 200 metri dal villaggio di Abud, villaggio distante 6 chilometri dalla Linea Verde, confine stabilito tra Stato d’Israele e Palestina, ora territorio occupato. La comunità cristiana palestinese soffre da ormai decenni le conseguenze del conflitto che crea un forte calo della popolazione in una situazione in cui pochi hanno il posto di lavoro e i terreni agricoli costituiscono l’unica garanzia di autonomia economica delle famiglie.

Senza parlare della prepotenza e delle vessazioni di vario genere da parte dei coloni occupanti nei confronti della popolazione. La costruzione del “Muro di separazione” ad Abud - il Governo israeliano, nel febbraio del 2005 ha dichiarato che ultimerà la costruzione del Muro entro la fine del 2005 - indurrà ulteriormente i cristiani (cattolici e ortodossi) all’ emigrazione forzata portando ad un ulteriore diminuzione della comunità cristiana in Terra Santa”.

Ricordo che si era ancora ai tempi della guerra fredda, il muro di Berlino era ancora alto sulla città, nelle aule della sede delle Nazioni Unite di Ginevra, durante lo svolgimento dei dibattiti alla Commissione dei Diritti Umani erano percepibili le opposte posizioni degli schieramenti delle Delegazioni degli Stati appartenenti ai due blocchi; sulla tavola della discussione i diritti umani. Era un duello verbale, sia pur diplomaticamente corretto, tra i rappresentati dei due schieramenti. Gli uni prendevano le difese dei popoli oppressi, gli altri si difendevano come potevano e il ritornello, alla fine, era sempre lo stesso: invocavano il diritto, chiamiamolo così, della non ingerenza negli affari altrui.

Rammento che il grande GIOVANNI PAOLO II al nostro Rappresentante della Missione Permanente della Santa Sede all’Onu, a Ginevra, Mons. Mullor GARCIA, mandava a dire di non aver paura, di parlare chiaro e tondo perché “coi forti bisogna parlare forte”. Forse Papa WOJTYLA ricordava ciò che aveva scritto nei difficili anni dell’oppressione comunista del suo Paese nel dramma “Geremia” a proposito della menzogna politica e della verità. Egli scriveva: “Bisogna buttare la verità negli occhi della menzogna. Bisogna accecare la menzogna con la verità”.

Neppure dimentico l’intervento dello stesso Rappresentante pontificio che nel marzo1989 in piena aula assembleare, nel silenzio generale dell’aula prendeva le difese dei tre popoli baltici invocandone la liberazione. Nello stesso anno crollò il Muro di Berlino, i rappresentanti dei Paesi satelliti della ex Unione Sovietica cambiarono immagine e tono, molte cose mutarono. Il cammino della giustizia e della pace continua sia pure con le prevedibili difficoltà. In quella stessa aula il 24 marzo dello scorso anno, come Delegato di Giustizia e Pace della Custodia di Terra Santa, prendevo la parola richiamando l’attenzione sui danni del “Muro di separazione”.

Non mi resta che concludere dicendo che se “la giustizia e la pace sono parte costitutiva e integrante del Vangelo”, come si legge nella dichiarazione del Sinodo dei Vescovi del 1971 nel documento “La giustizia nel mondo”, per i seguaci del Vangelo non possono essere ammessi i pigri e diplomatici silenzi e le eccessive paure davanti all’ingiustizia e all’oppressione delle persone e dei popoli.

Fr. Marco MALAGOLA
per la Commissione “Giustizia e Pace