Benedetto XVI Vescovo di Roma | Custodia Terrae Sanctae

Benedetto XVI Vescovo di Roma

Sabato pomeriggio 7 maggio Benedetto XVI ha dato inizio al suo ministero di Vescovo di Roma prendendo possesso della “sua” cattedrale, la basilica di San Giovanni in Laterano che si trova a due passi dalla nostra Delegazione di Terra Santa. E’ stato un grande abbraccio del nuovo Vescovo di Roma con i suoi nuovi diocesani.

Dopo il rito dell’insediamento ufficiale è seguita la solenne concelebrazione eucaristica da lui presieduta. Calorosa è stata l’accoglienza delle migliaia di romani conventi in basilica che hanno salutato il Papa al suo passaggio. Molti hanno seguito la solenne cerimonia nella piazza antistante la cattedrale dove erano collocati i maxischermi mentre moltissimi, come il sottoscritto, hanno preferito seguire la funzione dell’insediamento dal piccolo schermo.

Sulla cattedra di Vescovo di Roma Benedetto XVI ha lanciato un proclama su come vede la sua missione di pontefice. Il Papa – ha affermato testualmente - “non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”. Papa Ratzinger ha fatto immediatamente capire che non intende la carica papale come un esercizio solitario del potere ma un compito svolto in collaborazione con i vescovi successori degli apostoli. Applausi ha suscitato nella folla il suo richiamo alla posizione di Giovanni Paolo II contro tutte le errate interpretazioni della libertà… “La libertà di uccidere non è una vera libertà, - ha detto - ma una tirannide che riduce l’essere umano in schiavitù”. Il Papa, ha poi aggiunto, “deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole – come sono fragili e deboli le sue forze – costantemente bisognoso di purificazione e di conversione”.

Commovente è stata la finale del suo discorso carico di emozione e accolto con entusiasmo dalla folla: “Cari Romani, adesso sono il vostro Vescovo. Grazie per la vostra generosità, grazie per la vostra simpatia, grazie per la vostra pazienza! In quanto cattolici, in qualche modo, tutti siamo anche romani. Con le parole del salmo 87, un inno di lode a Sion, madre di tutti i popoli, cantava Israele e canta la Chiesa: “Si dirà di Sion: L’uno e l’altro è nato in essa…” (v. 5). Ugualmente, anche noi potremmo dire: in quanto cattolici, in qualche modo, siamo tutti nati a Roma. Così voglio cercare, con tutto il cuore, di essere il vostro Vescovo, il Vescovo di Roma. E tutti noi vogliamo cercare di essere sempre più cattolici, sempre più fratelli e sorelle nella grande famiglia di Dio, quella famiglia in cui non esistono stranieri”. Con queste parole, cariche di emozione e accolte con sincero entusiasmo Benedetto XVI ha dato voce ai suoi sentimenti.

Ha lasciato il segno nei cuori di centinaia di migliaia di persone la prima omelia del suo pontificato in San Pietro, accolta con tanto entusiasmo da suscitare oltre una trentina di applausi. Aveva detto: “Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La vostra preghiera, cari amici, la vostra indulgenza, il vostro amore, la vostra fede e la vostra speranza mi accompagnano”. Abbiamo notato una novità, un’espressione di inusuale familiarità nei messaggi pontifici: “Amici, cari amici” ripetuti più volte nel discorso. “Cari amici, in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore: pregate per me. Pregate per me perché io impari sempre più ad amare il suo gregge. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.

Benedetto XVI ha richiamato il suo forte legame con Giovanni Paolo II mettendo in luce un’amicizia vera. Colpisce che la parola amicizia nell’omelia è ritornata con frequente insistenza. Del resto i giovani, si sa, vivono sulla loro pelle e nel loro cuore tutta la carica vitale dell’amicizia. Sembra quasi d’intuire che l’amicizia sarà una delle chiavi del carattere pastorale di Benedetto XVI°: riscoprire e condividere con tutti l’esperienza dell’amicizia con Dio e con Cristo.

Se Benedetto XVI ha parlato di “dittatura del relativismo”, ha anche parlato dell’urgenza, anzi dell’imprescindibilità della misericordia perché “Cristo è misericordia di Dio inviata agli uomini”. Quanti, come me, hanno sentito il discorso di apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, ricordano l’impatto dell’enunciazione che fece il Papa di allora, Giovanni XXIII, dicendo che la Chiesa da allora in avanti avrebbe preferito la medicina della misericordia alle condanne. “Era veramente una svolta epocale – scrive lo studioso Giuseppe Alberigo tra i massimi esperti del Vaticano II - che la Chiesa romana ha fatto fatica a fare propria. C’è stato impegno, le condanne sono state meno frequenti e clamorose, ma certamente un’assunzione piena di questo stile di misericordia sembra sia ancora in cammino”.

Credo che Benedetto XVI° non mancherà di sorprendere. Un giornalista, che alla notizia della nomina a pontefice del cardinale Ratzinger mi aveva inviato un SMS dicendosi deluso per quel nome, qualche giorno dopo dallo stesso giornalista me n’è arrivato un altro: “Il nuovo Papa mi sta convertendo”. Chi l’ha conosciuto da vicino per consuetudine di lavoro racconta di un uomo che irradia serenità, mitezza, spiritualità. Uomo intelligente, fermo nei principi e di grande spessore intellettuale. Sa ascoltare anche le obiezioni e modulare la risposta. Voleva tornare ai suoi studi, aveva intenzione di dare alla teologia un linguaggio moderno e accessibile alla gente. C’è da pensare che si svilupperanno potenzialità che prima erano forse rimaste inespresse. In fondo non bisogna dimenticar che servizi diversi richiedono diverse responsabilità.

Come opportunamente scriveva lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio: “Ascoltando le parole di Benedetto XVI, mi è tornato alla mente il discorso dell’incoronazione di Giovanni XXIII, nell’ottobre 1958, quasi mezzo secolo dopo. Papa Roncalli, che si confrontava con l’imponente magistero di Pio XII, con la sua statura di diplomatico e uomo di governo, sottolineava con molta spontaneità: ”Ogni pontificato prende una sua fisionomia dal volto di chi lo impersona e lo rappresenta”. Così sta succedendo con Benedetto XVI: uno stile nuovo, uno spirito nuovo.

La Chiesa si affida a un uomo di 78 anni dal volto sereno di un timido fanciullo, uomo di grande energia e cultura che fa pensare a un Agostino. Qualcuno ha accennato, in considerazione dei sui 78 anni, a un Papa di transizione. Anche Papa Roncalli, quasi ottantenne, veniva considerato di transizione. Altro che transizione se pensiamo al coraggio di annunciare un Concilio a soltanto tre mesi dalla sua elezione. E poi avviarlo. Papa Giovanni XXIII sarà ricordato nella storia del secolo scorso come il Papa ”inizio degli inizi”.

Disse Papa Ratzinger rispondendo a un giornalista:”Non voglio considerare la mia vita al condizionale, cioè come avrebbe potuto essere. Penso che si può e si deve vivere la propria vita accettandola così com’è…” “Non v’è niente di più bello che essere raggiunti e sorpresi da Cristo. Allora lasciamoci raggiungere e sorprendere da Cristo e consentiamogli di entrare nelle nostre vite. Spalanchiamogli le porte - per riprendere il grido che fu la bussola del pontificato di Giovanni Paolo II - e diamo spazio alla gioia, perché “Chi crede, afferma Papa Ratzinger, non è mai solo”. “La Chiesa è viva”. E’ un invito a percepire che la fede è una forza, è un invito. Uomo di grande fede, per Papa Ratzinger la fede, prima di essere messaggio, è vita vissuta. A Benedetto XVI il merito di aver rimesso in scena il primato della fede.
Fr. Marco Malagola