La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani a Gerusalemme | Custodia Terrae Sanctae

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani a Gerusalemme

Anche quest’anno tra il 20 e il 28 gennaio si è tenuta a Gerusalemme la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema è stato “Fa’ sentire i sordi e parlare i muti” (Mc 7,37). Gerusalemme è un luogo unico per vivere questo particolare impegno ecumenico, vedendo riunite nelle sue mura quasi tutte le possibili denominazioni cristiane. In nessun altro luogo al mondo come qui ha senso celebrare una settimana di preghiera per invocare dallo Spirito il dono di una Chiesa unita, pur nel rispetto delle diverse tradizioni ed esperienze storiche.

La settimana si è aperta il sabato sera 20 gennaio al Calvario, luogo in cui, dal costato trafitto di Cristo, la Chiesa è nata. La comunità Greco-ortodossa del Santo Sepolcro ha invitato tutti i cristiani a partecipare alla celebrazione dell’ipodeipnon, cioè della liturgia che si svolge dopo (ipo-) cena (deipnon), corrispondente alla nostra Compieta. Veramente, come ha sottolineato il rappresentante della Chiesa greca, più che di “partecipazione” si è trattato di semplice “ascolto”, perché, fino al ristabilimento della piena comunione, non è possibile parlare di condivisione di una stessa liturgia.

La domenica è stata la volta della Chiesa anglicana, che ha tenuto una suggestiva cerimonia nella sua chiesa cattedrale di St. George. Il Vescovo anglicano Riah Abu El-Assal, commentando le letture proclamate (Gen 1,2-2,4, Ap 21, 1-5a, Gv 1, 1-5), ha parlato della nostra responsabilità comune verso la creazione, dono di Dio.

Lunedì 22 gli Armeni ortodossi ci hanno aperto le porte della loro storica cattedrale di San Giacomo ed hanno ricordato che il Natale (da loro celebrato appena tre giorni prima) ci porta il Re pacifico, nel cui nome tutti i cristiani si ritrovano uniti.

Il martedì è stata la chiesa del Redentore dei Luterani, prospiciente il Santo Sepolcro, ad accogliere la celebrazione ecumenica. Il Propst Dr. Uwe Grabe ha commentato il brano di Gv 15, 26-27. 16, 12-13, appena letto, per ricordare che Gesù non lascia i suoi soli, ma dona la Spirito per trasformare i credenti e farne dei testimoni credibili del Vangelo: dunque l’unità tra i cristiani non sta a noi produrla, ma è dono di Dio da invocare di continuo.

Mercoledì 23 siamo stati noi francescani ad animare, nella chiesa parrocchiale di San Salvatore, la preghiera. Ha presieduto il Vicario Custodiale, fra Artemio Vitores, che nelle parole iniziali di saluto ha ricordato che Gerusalemme, custodendo le memorie della morte e risurrezione del Signore, ha una speciale vocazione all’unità, purtroppo disattesa nei fatti. Il parroco poi, fra Ibrahim Faltas, commentando Mt 25, 31-46, ha richiamato il dovere di ritrovarci uniti nel comune impegno di carità.

Giovedì la celebrazione ha raggiunto una simbolica acme nella sala superiore del Santo Cenacolo, luogo della preghiera di Gesù per l’unità dei suoi nella Cena pasquale, e luogo dell’effusione dello Spirito Santo e della manifestazione della Chiesa. L’animazione, tradizionalmente affidata ai Padri Benedettini della vicina Abbazia dell’Hagia Sion, è stata questa volta resa particolarmente carismatica dai canti del gruppo musicale Raja’ (speranza in arabo).

Il 26 gennaio è stata la volta dei Siriaci ortodossi, che hanno tenuto la loro celebrazione nella chiesa di San Marco. Un esempio di ecumenismo pratico: infatti la celebrazione era animata congiuntamente dai Siriaci e dai Copti ortodossi, due Chiese che sono entrambe dette pre-calcedonesi, non avendo accolto le decisioni del Concilio di Calcedonia del 451 d.C.

Sabato ci siamo ritrovati in Città Nuova nella chiesa degli Etiopi ortodossi, che ci hanno intrattenuti con i loro suggestivi canti nell’antica lingua ghez. La conclusione della settimana è stata affidata ai Greco-cattolici, che ci hanno ricevuti nella chiesa dell’Assunzione, con le sue belle rappresentazioni iconiche, ponte di arte sacra che unisce l’Oriente ortodosso e quello cattolico nella comune tradizione bizantina.

Ad ogni celebrazione è seguito un rinfresco, momento di incontro e di socializzazione che ha permesso di dimostrare che l’ecumenismo si nutre anche di rapporti umani di amicizia, oltre che di soprannaturale preghiera. Purtroppo alle celebrazioni è stata scarsa la partecipazione dei fedeli locali: si vedevano soprattutto abiti religiosi e i pochi laici presenti erano soprattutto volontari che gravitano attorno alle numerose comunità religiose presenti a Gerusalemme. Non bisogna pensare però che i fedeli delle diverse denominazioni cristiane non sentano l’appello all’unità. Al contrario, per loro il problema non esiste, perché tutti si sentono parte della grande famiglia cristiana, uniti per difendere la propria identità cristiana, più che confessionale, nei confronti della maggioranza islamica ed ebraica in mezzo alla quale vivono.

Speriamo che Gerusalemme possa sempre più diventare ciò che, secondo una presunta etimologia, il suo nome significa: “visione di pace”, segno profetico di unità per la Chiesa di Cristo diffusa su tutta la terra.]

AC